Cristo in trono che dona le chiavi a Papa Silvestro e il labaro, insegna del potere imperiale, all’Imperatore Costantino.
(Mosaico del Triclinium Leoninum, S. Giovanni in Laterano, Roma)
Grande soddisfazione ci procura l’aver notato, negli ultimi tempi, un crescente rinnovarsi dell’attenzione, sia da parte laica che presbiterale, sul tema della “Regalità sociale di Cristo Re”. Tale compiacimento ci deriva dal fatto che, da sempre, riteniamo esser questo l’argomento propriamente atto a fornire il determinante criterio valutativo con cui leggere i motivi alla base di quell’evidente crisi in cui si dibatte l’Ecclesia Christi; e oltretutto, per sperare di trovare allo stesso tempo una decisiva, oltre che realistica, soluzione ad essa. Accanto a ciò, tuttavia, ci è parso di scorgere altresì una ingiustificabile incompletezza nel trarre dal discorso le debite conclusioni che esso sembrerebbe prospettare: mancanza la quale ci procura puntualmente la delusione per l’ulteriore occasione perduta. Il riconoscere infatti come prioritaria necessità quella di riportare il tema della Regalitas Christi al centro dell’impegno cattolico, tanto nella vita privata e familiare quanto in quella sociale e politica, pare rimanere in effetti solo un virtuoso proclama che non viene mai corredato delle concrete, conseguenti soluzioni applicative. E’ proprio alla luce di tali evenienze che ci siamo dunque sentiti stimolati a proporre pubblicamente le seguenti riflessioni.
Il fondamento di ogni discorso parte dal riconoscimento effettivo della duplice funzione che è propria del Signore Gesù Cristo, in quanto Sacerdos et Rex (oltre che Propheta) secondo l’Ordine di Melchisedec[1]. Fino al momento in cui si è mantenuta, in seno all’Ecclesia Christi, la naturale e tradizionale distinzione di tali due funzioni, il Papato ha specificatamente rappresentato la prima, laddove la seconda è rimasta peculiarità del Sacrum Imperium. Data la differente area di pertinenza, diciamo così, che ha riconosciuto il Sacerdozio quale attivo custode e responsabile della dimensione “spirituale” dell’individuo battezzato e la Regalità di quella invece “temporale”, nel corso dei secoli che ci separano dalla nascita del Sacro Romano Impero (800 d.C.: incoronazione di Carlo Magno) si è venuta così sempre più a puntualizzare e a definire una gerarchia di valori, all’interno della quale si è riconosciuta una ovvia “superiorità” da parte del Papato sull’Impero.
Va però subito osservato che l’ineccepibilità di tali conclusioni rimane tale purché, come già propugnava Dante alla sua epoca (e come più recentemente è stato ribadito anche da A. Del Noce[2]), tale “gerarchia di dignità” non venga confusa con la “gerarchia di giurisdizione”. In altre parole: se al Sacerdozio spetta il riconoscimento di una più alta dignità in virtù della sua funzione “spirituale” (oltre che di indirizzo morale ed etico) che è ontologicamente superiore rispetto a quella “temporale” espletata dalla Regalità sacra, a quest’ultima spetta di contro una autonomia nella giurisdizione del temporale che il primo non può affatto arrogarsi; la quale giurisdizione, se rettamente esercitata, concorre comunque sempre a conseguire, oltre al “bene comune”, anche il “bene spirituale” della Comunità. L’Impero non è indipendente dal Papato, ma ne è comunque autonomo nell’esercizio della propria funzione, pur dovendo entrambi in ogni caso rimanere correlati alla luce della naturale e necessaria sinergia, della complementarietà che devono con reciprocità mantenere i rispettivi Uffici, per soddisfare adeguatamente alle esigenze della duplice dimensione “fisico-spirituale” che è propria della natura di ogni individuo battezzato. Purtroppo, la storia dell’Ecclesia ci ha mostrato come tale complementare reciprocità non sia stata sempre rispettata: e ciò per responsabilità proprie sia dell’una che dell’altra Istituzione. Non è questo il luogo per poter affrontare i dettagli storiografici di un discorso che a noi basta così sommariamente riassumere: le iniziali eccessive ingerenze imperiali sulle questioni spirituali hanno comportato una sorta di reazione difensiva da parte del Papato; il quale, seppur nella necessità di giustamente ribadire la dovuta propria superiorità ontologica rispetto alla Regalità, ad un certo punto è giunto a pretendere eccessivi diritti nella gestione anche della funzione temporale. Gli esiti sortiti dalle vicende, maturatesi lungo un periodo temporale che rimane dell’ordine di svariati secoli, sono quelli odiernamente ben visibili.
Un altro aspetto della questione, di primaria importanza, è dato dalla circostanza secondo cui l’unzione Regale risulta legittima solo quando amministrata dal Sacerdozio. Ed è appunto questo il nodo su cui si sono poi sedimentati numerosi equivoci. La Regalitas, in quanto eminente dignità che è propria del Signore – accanto al Sacerdotium – non può non considerarsi che munus “direttamente proveniente da Lui”: sono noti i diversi passi biblici (neo e veterotestamentari) che si esprimono in tal senso[3]. La necessità dell’intervento sacerdotale, trattandosi dell’attuazione di un rito, non può dunque essere interpretata come legata alla trasmissione operata dal Sacerdotium dello specifico potere Regale – come esso è giunto a pretendere – in quanto questo non gli appartiene; ma solamente come l’esigenza di operare un suo “riconoscimento”, un suo “avallo” che garantisca e legittimi “spiritualmente” l’effettiva avvenuta acquisizione del sacrale munus Regale da parte dell’Imperatore.
Un ulteriore rimarchevole elemento è dato poi dalle chiare implicazioni metafisiche, metastoriche – e quindi anche meta-politiche – possedute dalla Regalitas umana, in quanto potere derivante direttamente da Cristo Gesù. Nell’Enciclica Quas Primas (1925), con riferimento al passo di Dn 7,13-14, Pio XI afferma che: «tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l’onore e il regno». L’Ufficio della Regalitas non ha dunque nulla di metaforico[4]; ed inoltre, pur esplicandosi nel concreto del temporale, esso possiede chiari collegamenti con la dimensione meta-temporale, escatologica e salvifica relativa alla missione del Logos incarnato. Se è vero come è vero che Cristo è Re in senso umano, all’inverso anche l’Imperatore, nell’esercizio del proprio Ufficio consacrato, è da ritenersi Suo Vicario: e ciò accanto ed analogamente al Papa. Il detentore del Potere Regale è colui che attua l’archetipo della Regalitas nella sfera temporale, in vista dell’escatologica, completa istituzione del Regno di Dio in terra.
Anche sul senso della presenza del Regno di Dio sulla terra sono sorti numerosi fraintendimenti: tipica è ad esempio l’obiezione secondo cui si verrebbe a dimostrare, sulla base delle stesse parole del Signore, come esso Regno non possa affatto essere ‘di questo mondo’[5]. Tuttavia, ciò non vuol significare che esso non abbia nulla a che fare con la Regalità esercitata temporalmente, giacché il Regno di Dio è effettivamente già ‘in questo mondo’, come oltretutto affermato altrove da Gesù stesso: «Il Regno di Dio è dentro di voi»[6]. Tutti i Padri ed i Dottori della Chiesa hanno concordemente asserito che il Regno di Cristo Gesù non è mondano; pur tuttavia hanno altresì riconosciuto che Esso è in questo mondo, in nuce nella Sua Chiesa, per fiorire perfettamente – ed in eterno – nell’altro mondo che viene. Possiamo allora dire che la Regalitas, quando espressa dall’Impero, non va intesa in quanto appiattita in una dimensione temporalmente orizzontale, ma piuttosto come conforme ad una dimensione escatologicamente verticale! Anzi, proprio a tal proposito è bene ricordare quanto enunciato nel Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove si dice: «La Chiesa cresce, si sviluppa e si espande mediante la santità dei suoi fedeli, finché arriviamo tutti ‘allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo’ (Ef 4,13) […]. Con la loro vita secondo Cristo, i cristiani affrettano la venuta del Regno di Dio, del ‘Regno di giustizia, di amore e di pace’»[7].
La Regalitas è insomma una funzione necessaria affinché, attraverso l’Ufficio che è ad essa proprio – ossia di amministrare la Iustitia nonché di offrirsi quale baluardo e difesa a favore dell’Ecclesia, contro i suoi nemici esterni ed interni – venga realizzata una condizione “temporale” tale da permettere agli uomini di esser pronti ad ottenere, come conseguenza, gli escatologici fini “spirituali”; i quali sono, a loro volta, più immediatamente e più specificatamente di pertinenza del Sacerdozio.
Ciò è da intendersi alla luce del fatto che – così come espresso dalla dottrina politica di Dante, nonché da tutto il pensiero teologico-politico fino al XIII sec. (a partire dalla speculazione agostiniana del De Civitate Dei) – la Regalitas non svolge in verità un’attività dal carattere meramente legislativo-amministrativo, se non nella misura che tale attività, favorendo l’annullamento della cupiditas umana, costituisce propriamente un remedium contro l’infirmitas peccati.
Tutto ciò è peraltro già chiaramente espresso dalla teologia paolina, secondo cui la divina Giustizia di Dio – della cui azione nell’ambito temporale ne è intermediatrice per l’appunto il Potere Regale[8] – non possiede un carattere statico bensì dinamico; l’effetto di questa azione si riversa sull’uomo, che viene in tal modo “giustificato”, rinnovato dall’agire di Dio[9]. E poiché la Giustizia è per S. Paolo concetto opposto al peccato[10], ecco che essere sottomesso alla Giustizia implica appunto essere contestualmente liberato dal peccato.
In altre parole, l’esercizio della Iustitia da parte della Regalitas Imperiale, ponendosi a rinforzo del sacramento battesimale, permette all’anima il recupero ontologico dello stato edenico: cioè quello che era proprio di Adamo, precedentemente al peccato originale. E’ solo dopo aver riguadagnato tale stato di purità, corrispondente al Paradiso Terrestre, che essa anima diviene infatti veramente e completamente pronta per ascendere alla condizione escatologica figurata dalla Gerusalemme Celeste; e ciò, questa volta, sotto l’egida del Papato attraverso la funzione che è ad esso propria: la gestione del magistero della fede attraverso l’amministrazione dei sacramenti e l’insegnamento dei principi dottrinali.
Da tali presupposti conviene a questo punto trarre alcune conclusioni. Ci permettiamo di osservare che la crisi della Chiesa verrebbe ridotta ad una lettura davvero molto superficiale se ci limitassimo a far risalire l’inizio d’ogni “male” al Concilio Vaticano II; lo schema adottato sarebbe infatti fin troppo semplicistico: vi è una realtà ecclesiale perfetta prima del 1963 e vi è un totale disastro successivamente. A nostro modo di vedere, invece, quello a cui stiamo assistendo è l’epilogo di un processo innescatosi, come dicevamo, già molti secoli addietro; ed i cui effetti sono oramai ben evidenti nella caduta in latenza dell’Impero[11], a beneficio dei laicistico-massonici Stati nazionali e delle pseudo-monarchie che nulla più hanno di cattolico; oltre che nell’odierna profonda, implosiva e oramai quasi definitiva secolarizzazione del Papato, tra i cui più evidenti sintomi si annovera la totale perdita di ogni suo senso del trascendente.
Il grande errore compiuto dal Sacerdotium già in concomitanza del periodo che fu a cavallo tra i secoli XIII e XIV, ossia di interferire in maniera sempre più squilibrante rispetto alla Regalitas sulla gestione diretta del temporale, ha innescato una serie di avvenimenti posteriori non più controllabili che, inanellandosi l’uno dopo l’altro, hanno condotto a quanto oggi risulta sotto gli occhi di tutti (nonostante i ravvedimenti che, ad onor del vero, sono anche successivamente sopraggiunti nel merito, da parte del Papato): ossia, alla perdita per l’Ecclesia non solo dell’unità ecumenica, ma anche del potere di cristianizzare il mondo. La Regalità sacra è infatti parte integrante della Chiesa nella sua integralità; una volta persa questa completezza, la Chiesa istituzionale dei Sacerdoti ha anche perso, in larghissima misura, la sua capacità di incidere sul mondo e di ricostruire una Civiltà cristiana.
Qualche critico, a questo punto, potrà ribatterci che la Chiesa si fonda essenzialmente sui Sacramenti e che questi sono conferiti dai Sacerdoti: la Chiesa può dunque esistere, in linea di principio, anche senza la funzione Regale. Tuttavia – e senza nemmeno ricordare che l’unzione Regale col chrisma è una “consacrazione sacramentale” – questa è solo una verità parziale: sarebbe come dire che un individuo umano possa sicuramente “sopravvivere” senza le braccia e le gambe, ma a prezzo di doversi “appoggiare” sulle braccia e le gambe altrui. In realtà la Chiesa, privata così della Regalità, non ha fatto altro nei secoli che appoggiarsi – e alla fine piegarsi – a poteri a Lei del tutto estranei se non ostili.
A mo’ di epilogo, a questo punto ci par giusto citare l’Enciclica di Leone XIII Immortale Dei (1885), nella quale compare un riconoscimento chiaro dell’imprescindibilità della funzione Regale esercitata dall’Impero ai fini di una più completa proiezione dell’Ecclesia verso l’istituzione escatologica del Regno di Dio in terra: «Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando Sacerdozio e Impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi […]. E certamente tutti quei benefici sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: ‘Quando Regno e Sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina’».
E ancor più recentemente, anche il Cardinal Ratzinger, pochi mesi prima di venir eletto Pontefice, soffermandosi sul senso storico-politico-sociale della separazione tra Papato ed Impero, tra fede e politica, nonché gettando uno sguardo verso il futuro dell’Europa, ebbe emblematicamente modo di scrivere: «Poiché da ambo le parti di contro a tali delimitazioni rimase vivo sempre l’impulso alla totalità, la brama di porre il potere al di sopra dell’altro, questo principio di separazione è divenuto anche l’origine di infinite sofferenze. Come esso debba essere vissuto correttamente e concretizzato politicamente e religiosamente rimane un problema fondamentale anche per l’Europa di oggi e di domani»[12].
L’attualità della questione rimane dunque viva e pertanto anche suscettibile di aprire immediate ulteriori riflessioni soprattutto all’interno del laicato cattolico. E’ infatti compito di quest’ultimo il riflettere sulla necessità di recuperare il legame imprescindibile con i sacrali principi meta-politici della Regalitas; e ciò non solo per rivivificare la Iustitia e l’ordine sociale e politico, ma altresì perché, recuperando l’integralità tutt’oggi mancante all’Ecclesia Christi, si contribuirebbe contestualmente a risollevare il Sacerdotium dalla sua mondanizzazione e dal suo conseguente odierno smarrimento, causato dalla perdita della visione trascendente della propria fede. Solo una Ecclesia non più “vedova dell’Impero” potrà tornare saldamente ad essere l’unica e vera guida spirituale del popolo di Dio.
“O SS. Vergine Maria, rinunciamo a noi stessi per donarci a Te, nostra cara Madre”
Il presente scritto è stato pubblicato sui seguenti blog:
www.maurizioblondet.it (23.08.20)
www.marcotosatti.com (02.09.20)
www.gianlucamarletta.it (03.09.20)
www.ilpensierocattolico.it (28.09.20)
[1] Cfr. Gen 14,18-20; Sal 109,4; Eb 7,1-3.
[2] A. DEL NOCE, Dante e il nostro problema metapolitico, in L’Europa, V, 30 aprile 1971 (ora in A. DEL NOCE, Rivoluzione Risorgimento Tradizione, a cura di F. Mercadante, A. Tarantino, B. Casadei, Milano 1993, p. 324)
[3] Rm 13,1; Prov 8,15; Sap 6,1-3; Zc 4,1-14.
[4] Si può invece dire che esso mantiene una forte valenza simbolica: che è ben altra cosa.
[5] Cfr. Gv 18,36.
[6] Lc 17,21. Cfr. pure Lc 11,20.
[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2045-2046, Libreria Editrice Vaticana, 1999.
[8] «Chi si oppone all’Autorità resiste all’ordine stabilito da Dio […]. Essa è infatti ministra di Dio per il tuo bene […] non per nulla essa porta la spada: è infatti ministra di Dio, esecutrice di giustizia contro chi fa il male» (Rm 13,2.4).
[9] «[…] per manifestare la Sua Giustizia nel tempo presente, in modo da mostrarsi Giusto Lui, e giustificare chi ha fede in Gesù» (Rm 3,26).
[10] «Quale relazione può esserci tra la Giustizia e l’iniquità?» (2Cor 6,14).
[11] Non usiamo il termine “scomparsa”, perché gli archetipi non si estinguono, ma semplicemente si occultano alla storia.
[12] J. RATZINGER, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, Ed. S. Paolo, Cinisello Balsamo 2004, p.14.