In alcuni ambiti dell’odierno contesto religioso-culturale si nota, da tempo, un crescente interesse per alcuni aspetti inerenti una certa immagine della Cavalleria cristiana. Ciò è evidenziato anche dalla recente pubblicazione di volumi, articoli, vari interventi su blog, in cui il riferimento alla Via cavalleresca assume spesso contorni concretamente propositivi. Al riguardo, prevale un orientamento che richiama l’attenzione su un quadro etico-valoriale d’insieme riconducibile a questa Istituzione, cui sono connesse specifiche istanze. Da esse discendono naturalmente determinati atteggiamenti, norme di comportamento tali da poter delineare uno “stile di vita”, un modello esistenziale di stampo prettamente virile (nel senso originario e completo del lat. Vir, uomo, in quanto dotato di vis, forza e potenza efficace) ritenuto di particolare validità per il cattolico di oggi e centrato essenzialmente sulle cosiddette virtù cavalleresche.
Pur riconoscendo una indubbia validità di fondo a questi interventi, tuttavia il tema della Cavalleria cristiana richiede una trattazione maggiormente articolata, che ne evidenzi più compiutamente la reale portata: precisando ciò che denota propriamente il carisma cavalleresco; i lineamenti della sua specificità quale percorso di realizzazione spirituale fondato su un arduo Cammino interiore e, al contempo, di attiva presenza nel mondo, di azione concreta. Inoltre, è indispensabile sottolineare l’appartenenza sacramentale della Cavalleria alla Tradizione cattolica, con tutto ciò che ne deriva. In caso contrario, non sarà possibile discernere pienamente il valore e l’efficacia che può rivestire, oggi, il richiamo alla Via cavalleresca.
Per queste ragioni, il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (Sodalizio Cavalleresco della Madre di Dio Soccorso dei Bisognosi) ha ritenuto opportuno offrire il proprio contributo, proponendo una testimonianza diretta, dall’ “interno”, per così dire, ossia da chi vive la propria appartenenza alla Cavalleria, la propria quotidiana Militia con consapevolezza e quale membro di un organismo cavalleresco regolarmente costituito. Quanto dunque verrà esposto di seguito, concerne una realtà concreta, operante qui e ora, un percorso esperienziale fattivamente attuato.
Il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurentis (d’ora in poi “il Sodalizio”) è una fratrìa cavalleresca, con membri provenienti da diverse regioni d’Italia. I Cavalieri appartenenti al Sodalizio sono investiti tramite Sacramentale, amministrato all’origine da un Vescovo della S. Chiesa Cattolica, secondo il rituale contenuto nel Pontificale Romano[1]. Ciò comporta che un Cavaliere, a sua volta, possa poi investirne un altro, avendo acquisito, mediante tale rito, un’autorità ed una dignità specifiche che lo distinguono così da un semplice fedele laico, in quanto divenuto un ‘consacrato’ che è titolare della potestà di amministrare tale medesimo Sacramentale[2].
La struttura del Sodalizio è di tipo gerarchico-militare, con al suo vertice la figura del Priore, cui si affianca, con peculiari mansioni, quella del Vicario; mentre la direzione spirituale è affidata ad un sacerdote facente funzione di cappellano, cui è riconosciuta piena autorità in ambito di Fede e di Dottrina. Il Priore, il Vicario e tutti i Cavalieri regolarmente investiti si riuniscono periodicamente in Capitolo, per discutere sulle attività del Sodalizio, decidere e deliberare in merito, ivi comprendendo la disamina delle richieste di ammissione. Queste vengono vagliate con cura e, se accolte, il candidato verrà ammesso in qualità di Postulante, quindi affidato alla tutela di un Cavaliere, per un periodo di prova variabile, non inferiore ad un anno. Al termine del periodo previsto, se ritenuto idoneo a proseguire il percorso, il Postulante, durante una cerimonia che si svolge nel corso della S. Messa, riceverà insieme all’abito (privo di insegne e mantello) gli speroni, divenendo Scudiero e membro del Sodalizio a tutti gli effetti. Trascorso un ulteriore periodo di prova, segnato da una approfondita verifica delle proprie intenzioni, lo Scudiero, dopo delibera del Capitolo, potrà prepararsi a seguire l’iter previsto per giungere all’Investitura cavalleresca. Quale ‘segno’ di questa nuovo status ‘ontologico’, oltre al mantello ed alle insegne egli riceverà finalmente anche la ‘spada’, contenente, al proprio interno, la reliquia autenticata di un santo militare. Nella forgiatura della spada e nella sua forma diritta e lucente è racchiuso il simbolo di ciò che il Cavaliere è chiamato ad essere: un Miles dal cuore temprato su esempio di quello di Cristo Signore; un difensore della vera Fede che è sostenuto nella battaglia da una forza di volontà retta e salda, nonché da un’intenzione sempre integra e cristallina.
Ci siamo soffermati sulla struttura e l’ordinamento interno del Sodalizio (retti da uno Statuto costitutivo approvato da un Vescovo e da una normativa disciplinare) per evidenziare come sia limitante, e quindi non plausibile, concepire oggi la Cavalleria cristiana in modo estemporaneo e arbitrario, magari per “adattarla” meglio alla situazione contingente. Parimenti, non può essere ritenuta valida una sua soggettiva interpretazione, ad esempio di tipo sentimentale o ideologico-religioso, per renderla più consona alle proprie esigenze ed aspettative, idealizzando così un percorso individualistico come parte di un tanto suggestivo quanto fantasioso scenario “eroico”.
L’appartenenza ad un organismo di tipo cavalleresco regolarmente costituito, nei termini prima specificati – e che può anche essere definito come una comunità di preghiera, pensiero e azione – preserva da questi errori e distorsioni, così come da ogni preconcetto o atteggiamento deviante per quanto attiene una retta coscienza dei presupposti, della funzione e degli scopi dell’Investitura. Vi è una consapevolezza essenziale a cui il Cavaliere deve giungere e che, al contempo, illumina l’essenza stessa della Cavalleria, chiarendone il carattere eminentemente spirituale e, dunque metastorico, ponendola di conseguenza in rapporto diretto con la dimensione archetipale, cristianamente intesa. Cerchiamo di configurarne, seppur in estrema sintesi, alcuni principi formativi.
In un volume collettaneo di recente pubblicazione, che contiene contributi dei membri del Sodalizio e di alcuni religiosi (AA.VV. Cavalleria: una Via sempre aperta, prefaz. di p. Serafino Tognetti, Città Ideale, Prato 2017) si legge: «Il ‘Sacramentale costitutivo’ [e tale è l’Investitura cavalleresca] imprime un carattere indelebile alla persona concedendole, allo stesso tempo, le grazie necessarie al compimento delle funzioni per cui il rito è stato eseguito. Sono tali la Consacrazione dei Re, l’Investitura cavalleresca, la Consacrazione delle vergini, la Professione religiosa nei suoi vari gradi» (p.29). Tale Consacrazione definisce il Cavaliere quale Miles (in quanto quella cavalleresca è una Via prettamente militare), ossia combattente di Cristo in difesa della fede, della Chiesa, della società cristiana, contro ogni ingiustizia, prevaricazione, violenza, inganno o mistificazione che leda o neghi quei principi dell’ordinamento divino manifestatisi attraverso i dati della Rivelazione. Per cui, si precisa ancora: «La Cavalleria si propone di coltivare il rispetto dovuto alla Regalità di Dio e Signore Nostro Gesù Cristo. Si propone, pertanto, di difendere dall’empietà la Giustizia, mediante l’esercizio della carità delle armi e collaborando alla realizzazione del Regno di Dio» (p.25).
La consapevolezza essenziale, allora, che il Cavaliere deve acquisire come elemento costitutivo della propria condizione, è quella di appartenere ad un Ordine, l’Ordine della Cavalleria, secondo anche quanto indica, inequivocabilmente, il titolo del celebre Libro dell’Ordine della Cavalleria di Raimondo Lullo. I termini secondo cui l’identificazione della Cavalleria come Ordine è del tutto legittima, sono così qualificati: «Ciò che distingue un Ordine è la vocazione spirituale; la fedeltà a una regola rispettosa del diritto divino; l’obbedienza dei suoi membri a una comune disciplina; la capacità di proporre agli aderenti un valido cammino di santificazione» (p.25).
Appare con chiarezza, da quanto fin qui esposto, quale sia l’orizzonte di senso entro cui collocare e giustificare l’esistenza della Cavalleria cristiana e che solo può consentire di riconoscerne il significato, il valore e l’efficacia anche nella realtà attuale. E’ una linea sottile fra Trascendenza e immanenza, quella lungo la quale si consuma il combattimento ininterrotto del Cavaliere, attraverso un incessante cammino di conversione personale, di lotta spirituale contro il peccato e il male, la quale sola consente l’interiorizzazione di quanto S. Agostino definiva bellum justum; espressione che poi verrà interpretata e collocata “canonicamente” da San Tommaso. La “guerra giusta” è infatti, prima di tutto, una pugna spiritualis, che però, allo stesso tempo, coinvolge il piano personale, quello cosmico-escatologico e, infine, quello storico-politico integrandoli in una visione unitaria che qualifica, in termini di assolutezza metafisica, la nozione di malicidium.
E’ in tale prospettiva che, anche oggi, dovrebbe attuarsi la formazione del Cavaliere, così come il discernimento del giusto “campo di battaglia”, dove è nato e cresciuto – soprattutto dal sec. XI in avanti, sino al concludersi dell’Età di Mezzo – il «fiore d’acciaio» dell’etica cavalleresca. Ciò tenendo conto, ovviamente, delle mutate circostanze per quanto attiene il contesto storico-politico e storico-culturale in cui il Cavaliere si impegna a combattere, con armi adeguate, la «giusta battaglia», secondo il celebre enunciato paolino.
Questa, infatti, comporta da sempre un duplice fronte: quello interiore, contro il male che costantemente insidia il Cuore dell’uomo; quello esterno, contro tutti i nemici di Cristo e della sua Chiesa. Da qui il simbolismo della “doppia spada” o della spada a “due tagli”.
Nel già citato volume a cura del Sodalizio, leggiamo ancora con riferimento allo scenario contemporaneo: «La ‘giusta battaglia’ combattuta verso l’esterno non va ad esplicarsi in un ambito che coinvolga ‘la carne e il sangue’, per usare l’espressione di S. Bernardo [De Laude Novae Militiae] ma si metamorfosa in un’azione bellica che si attua in contesti più precisamente di tipo ‘etico-culturale’» (p.92). Ragion per cui, la formazione del Cavaliere, oltre alla conoscenza dei contenuti della religione cattolica (di ordine teologico, magisteriale e mistico-sapienziale) deve oggi comprendere anche lo studio, l’analisi della cultura e dei costumi a lui contemporanei. In particolare, di tutti quegli orientamenti di pensiero, ideologie, tendenze che contrastano il Cristianesimo, nonché dei differenti mezzi da essi utilizzati per imporsi. Soltanto una conoscenza approfondita del campo di battaglia consente di attuare le giuste strategie e rendere veramente efficace l’azione del Cavaliere.
Tuttavia, pur nelle mutate circostanze appena descritte, è importante ribadire che essendo la Via cavalleresca una Via militare, essa è inseparabile dalla Carità delle armi. Essa presuppone, in ogni circostanza, il retto agire del Cavaliere: denotato da fermezza e determinazione, dalla rinuncia ad ogni compromesso o accomodamento che possa garantire, agevolare o preservare, ad esempio, l’agio personale o la propria “realizzazione” mondana, giungendo fino al sacrificio di sé.
In proposito e riferendosi alla trasposizione indispensabile, oggi, del concetto di «morte sacra» espresso da S. Bernardo sempre nel De Laude, si precisa che essa deve primariamente intendersi come: «‘morte dell’ego’. Tale è la portata profonda del ‘sacrum-facere’, il ‘sacro operare’; la qual cosa consiste nell’agire in maniera direttamente ispirata dallo Spirito, liberi da qualsiasi implicazione ‘egoica’, cioè legata alla e dalla contingenza» (p. 94).
In quanto la meta del Cammino interiore del Cavaliere è l’acquisizione ascetica di siffatto distacco, ossia della “liberazione” (in termini spirituali), «si comprende bene come per il Miles si instauri un diretto rapporto di reciprocità tra ‘battaglia esterna e battaglia interna’, perché entrambe fondate su di un medesimo, coincidente atto di ‘sacrificio’» (p.95). Peraltro, è proprio attraverso il presupposto di tale “svincolamento” dal proprio ego che si determina la “nobiltà” del Cavaliere (nel senso di “eccellenza, buona qualità, elevatezza, distinzione”) ovvero il suo status “aristocratico”, intendendo quindi i termini in un’accezione che è piuttosto ontologica che non prettamente sociale.
A tal proposito, risulta altresì chiaro come il carattere ascetico di questa battaglia comporti per il Cavaliere l’adesione, integrale e coerente, a consuetudini di vita quotidiana che, in definitiva, caratterizzano e definiscono la sua “identità” quale peculiarmente “laico-monastica”.
Vorremmo concludere ricordando come, all’atto dell’Investitura, il rituale previsto saluti il nuovo Cavaliere qualificandolo come Miles pacificus, alla lettera “operatore di pace”, richiamando così direttamente le parole di Gesù (Mt 5,9); il che, in prima battuta, potrebbe anche sorprendere. In realtà, compito della Cavalleria è proprio quello di lottare per la pace, purché ci si intenda sul significato religioso del termine e le implicazioni che tale affermazione comporta. Nel sistema giuridico-religioso dei Romani, sia nella fase arcaica che in quella repubblicana, rivestiva un ruolo essenziale la nozione sacra di Pax deorum. Essa consisteva nel mantenere un rapporto di “benevolenza” con gli dèi, sostenuto dall’esattezza del rituale ed evitando, quindi, tutto ciò che potesse turbare questa situazione. Venivano così precisati tutti quegli atti che per nessuna ragione dovevano essere compiuti e le parole che mai dovevano essere pronunciate. Questa era la condizione senza la quale nessuna “pace” mondana poteva essere conseguita o conservata, e la sua portata era tale da coinvolgere ogni aspetto sia della vita privata che di quella pubblica.
Il confronto, per similitudine, con siffatto atteggiamento, può ben rendere conto del compito che si assume il Miles pacificus: certamente non quello di imporre con la violenza la propria Fede, bensì di difenderla contribuendo a ristabilire nel mondo quell’Ordine, quel Diritto e quella Giustizia che massimamente si esprimono nella Regalità Sacra del Cristo (allorché – e purché – posta in atto nella forma istituzionalizzata del Sacrum Imperium), che sole possono restituire alla vita dell’uomo autentico significato, dignità e legittimità di scopi. Pertanto, risulta assolutamente errato confondere il messaggio spirituale del Salvatore con qualsivoglia “pacifismo”, ossia una mera ideologia, che appare una caricatura della vera pace presentata dai Vangeli. La misericordia e la carità che ogni cristiano – in particolare il Cavaliere – deve avere nei confronti anche dei propri nemici, non possono essere mischiate in modo mistificante con la difesa, altrettanto misericordiosa e caritatevole, della Verità e del prossimo minacciato, pure, se necessario, mediante l’uso delle armi. Infatti, sempre nel volume Cavalleria viene ribadito che possono esistere «una guerra buona e una pace cattiva» (pp. 73-88).
Nell’attuale temperie socio-politica, religiosa e culturale questa chiarezza è indispensabile, come ricordato dal Sodalizio: «Mai come oggi la storia ha bisogno del Cavaliere e mai al Cavaliere si è presentata occasione più gloriosa di testimonianza e di lotta» (p.17). Non vi è quindi nessuna nostalgia o utopica velleità nel riproporre l’ideale della Cavalleria, né alcuna suggestione letteraria; anche perché quei temi e quei miti proposti dai romanzi medioevali di contenuto cavalleresco quali la “Cerca”, il “Santo Graal”, le “Prove iniziatiche”, i “Duelli”, in realtà esprimono verità archetipiche, e quindi eterne e metastoriche: solo un’intellezione di tipo simbolico le può riconoscere ed interiorizzare nella giusta maniera, per poterle poi anche correttamente applicare in contesti storici quali quelli attuali.
L’auspicio è che ancora oggi possano echeggiare nella coscienza di ogni cristiano, come un monito e, insieme, come un richiamo, queste parole di S. Isacco di Ninive: «In ogni tempo, la speranza di ciò che è più facile rende l’uomo dimentico di ciò che è nobile, degno e grande. Tanto nel passato come ora, è questo fatto e nient’altro che ha privato l’uomo di vigore».
IN CHRISTO REGE
[1] Pontificale Romanum Summorum Pontificum, Jusso editum a Benedicto XIV et Leone XIII Pont. Max. Recognitum et Castigatum, De Benedictione Novi Militis.
[2] Al riguardo, è necessario sottolineare che se nel Pontificale elaborato durante il pontificato di Paolo VI non figurano i Sacramentali di tipo militare e Regale, ciò è perché sono caduti in disuso e non perché siano stati abrogati de iure.
IN CHRISTO REGE
Il seguente scritto è stato pubblicato, in forma sintetizzata, sulla Rivista Il Timone n. 196, giugno 2020
ed, in forma integrale, sul blog www.ideeazione.com (22.01.22).