Possiamo partire facendo nuovamente riferimento ad alcune ulteriori intuizioni di A. Tavolaro, il quale osservava come il portale d’ingresso possa essere inscritto in una circonferenza e come si possa altresì ad esso sovrapporre una stella a 5 punte, le cui dimensioni, legate come è noto alla proporzione aurea, vengono a scandire guarda caso i vari elementi architettonici del portale stesso. E ciò nel seguente modo[1]:
Senza insistere sul fatto che tale circonferenza possiede un raggio pari a m 5,5 (misura in cui ricompare emblematicamente il n.5), la presenza di un’allusione simbologica al pentagramma da parte del portale di Sancta Maria de Monte è importante, al di là del semplice valore numerico-quantitativo, alla luce di quello che è piuttosto il significato qualitativo di tale simbolo.
La simbologia ha riconosciuto giustificabile inserire nel pentagramma i contorni di una figura umana, il cosiddetto Uomo-microcosmo di Agrippa, il cui capo ed i cui arti vanno a coincidere con le altrettante 5 punte della stella [2].
In virtù dell’unione tra i valori 2 e 3, sottinteso al valore 5 del pentagramma, quest’ultimo esprime insomma l’Androgino primordiale, l’uomo prima della caduta: l’Uomo-microcosmo. Egli è di conseguenza anche l’Uomo Universale, il typus umano che, dopo un processo di rigenerazione spirituale, recupera la posizione di centralità che gli compete nella ierogamia tra Cielo e Terra, divenendo ponte e mediatore tra i due stati ontologici.
Ci si chiederà, allora: come non vedere stagliarsi sul portale anche quella S. Vergine misericordiosa, l’Immacolata Concezione esente dal peccato originale che maternamente distende i lembi del proprio manto, e attraverso la cui ‘mediazione’ l’uomo può assumere lo status cristico di Androgino primordiale, Uomo-microcosmo, Uomo Universale [3]?
La presenza di un riferimento alla S. Vergine, sul portale del castello, ne denota la privilegiata importanza ai fini dell’identificazione del significato simbolico detenuto dall’intero edificio. Senza insistere sull’esplicita allusività già presente nella propria denominazione di Sancta Maria de Monte, la funzione di ‘mediazione’ verso il Cielo, svolta dalla Madonna, appare qui risolutivamente applicabile infatti alla totalità del manufatto. E’ possibile desumere ciò per il fatto che il portale è notoriamente l’elemento architettonico che riassume il simbolismo di tutto l’edificio sacro, ne viene cioè a costituire una sorta di sintesi: “Un santuario è come una porta che si apre sull’aldilà, sul regno di Dio. Quindi la porta del santuario riassume, anche sotto il profilo simbolico, la natura dell’intero santuario”[4].
Del resto, se nelle Litanie la S. Vergine è invocata appunto quale Ianua Coeli, Porta del Cielo, secondo un altro epiteto Ella è altresì la Porta Orientale: ed il portale del castello è orientato infatti esattamente ad Est. Che poi Ella compaia inscritta nel pentagramma del portale, rivolto come esso è verso l’alba, non può non farci ricordare il Suo ulteriore epiteto di Stella matutina.
Ora, che tutto questo continuo riferimento numerico-simbolico dell’edificio ai nn.5 e 15 debba garantirci della premeditazione di una sua consacrazione alla S. Vergine Maria, trova ulteriormente conforto in alcune particolari contingenze su cui andiamo brevemente a render conto.
Va innanzitutto ricordato il particolarissimo legame che sussiste tra la struttura della preghiera del S. Rosario – oltre che della Corona che ne è il supporto strumentale – ed i nn.5 e 15[5].
Non potendo affrontare in questa sede tutta la complessità dell’argomento, ci basti perlomeno indicare due circostanze che ben configurano le modalità dell’approccio ermeneutico utilizzate, e le sorprendenti conclusioni a cui si perviene tramite esse. Ci riferiamo ancora una volta alla gematria ed al suo utilizzo nella lingua greco-antica (da noi ritenuta la vera e propria lingua sacra del Cristianesimo). Accostando i nn.5 e 15 e considerandoli quali espressione del valore 515, verifichiamo come esso corrisponda alla parola παρθενος[6], che significa Vergine. D’altro canto, accostando i medesimi numeri, dopo averne invertito la posizione, otteniamo 155, che a sua volta è il valore di γ Μαρια, che significa S. Maria[7].
Incidentalmente, dobbiamo a tal proposito aggiungere che i nn.5 e 15 non solo attengono a S. Maria Vergine, ma è significativamente anche possibile intuire la sussistenza di un certo qual loro criptico collegamento con la profezia dantesca che, nella Commedia, inerisce al misterioso Cinquecento dieci e cinque, messo di Dio: il DVX che per Dante coincide col Monarca Imperiale[8].
Peraltro, la somma di 515+155 è pari a 670, il quale è il valore di παρδεισος, che significa Paradiso[9]. Lo stesso valore 15 equivale poi sia a γαια[10] che al suo anagramma αγια, le quali traducono nel loro insieme ‘Terra Santa’, con chiara allusione ancora una volta all’Eden.
Ora, tutto ciò rimanda non solo alla nota speculazione patristica che pone in parallelo la verginità di Maria con la verginità della ‘terra edenica e santa’, ma anche al ‘recupero’ della suddetta verginità edenica a cui è deputata la funzione dell’Imperium tramite l’esercizio della Iustitia.
Come è possibile rendersi conto, anche solo questa evenienza basterebbe in verità a confermare i presupposti escatologici a cui alludevamo all’inizio del nostro presente intervento!
Per riprendere invece il tema ‘battesimale’, dobbiamo adesso occuparci della cosiddetta sala del trono, la quale si localizza al primo piano, esattamente in corrispondenza del portale. Abbiamo già preannunciato che, per diversi motivi, essa costituisce la sala più importante del castello: e ciò le ha valso appunto la propria denominazione.
Innanzitutto ricordiamo che essa è l’unica a costituirsi come eccezione, in quanto sala terminale dei percorsi pur non essendo fornita di camino. Ma la sua preminenza strutturale, e quindi di significato, traspare dall’essere l’unica sala terminale dei suddetti percorsi che permetta di comunicare con l’esterno attraverso un porta-finestra (cfr. fig.10). Inoltre, in tale sala erano installati i comandi per il sollevamento a saracinesca del portale; ed ancora, essa è l’unica sala di primo piano da cui era possibile salire direttamente al terrazzo, tramite la scala posta nella sua torre, ed accedere così al terzo livello.
Una decisiva testimonianza di questa particolare preminenza qualitativa sulle altre sale, è offerta dalla chiave di volta della sala del trono, che per le proprie fattezze rappresenta un unicum tra le varie chiavi di volta dell’intero edificio [11].
Ad un’attenta osservazione, si potranno sorprendentemente riconoscere due ulteriori figure criptate nella folta capigliatura di questo viso barbuto: un Leone ed un Toro, posti rispettivamente alla destra ed alla sinistra relativamente al volto stesso!
E’ importante sottolineare il lato occupato da tali due suddette figure, in virtù della simbologia che differenzia appunto la posizione destra da quella sinistra. Detto molto in generale, possiamo senz’altro riconoscere alla destra una valenza solare, yang, legata all’Autorità spirituale; mentre alla sinistra una valenza lunare, yin, legata al Potere temporale. Il Leone infatti è animale solare, laddove il Toro, in virtù anche della forma delle proprie corna, è animale lunare.
Senza arrivare a sviluppare tali temi più di quanto competa a questa sede, possiamo comunque dire che questo volto trova corrispondenza con quella che è una simbologia medievale tanto importante quanto mal compresa, nonché ingiustamente condannata ad una damnatio memoriae giacché legata alle sorti dell’Ordine Templare in occasione della sua altrettanto ingiusta accusa di eresia. Stiamo parlando del famigerato Bafometto; il quale, tra gli Ospitalieri, veniva invece più innocentemente identificato come la rappresentazione del capo decollato di S.Giovanni Battista, loro patrono [12]!
– La testa di S. Giovanni Battista: dal sigillo di un Priorato Ospitaliero inglese del XIII sec. –
Se per alcuni potrà risultare sorprendente questa corrispondenza da noi avanzata tra S. Giovanni Battista (da cui non può comunque venir scissa la figura dell’altro S. Giovanni, suo complementare) ed il Bafometto, vogliamo far notare come intanto essa possa risultare apprezzabile per la comune relazione da entrambi intrattenuta col Battesimo.
Il Fulcanelli ricorda, infatti, come Βαφη-Μητεος significhi ermeticamente ‘bagno, immersione, battesimo, tintura di Meti (= Prudenza, Senno, Saggezza)[13]. Tale Battesimo, del resto, non è solo di acqua, ma anche di fuoco: tant’è che lo stesso termine baphè indica pure la tempra del metallo; e ciò a maggior conferma della presenza nel discorso simbologico in oggetto, di implicazioni riferibili anche all’Evangelista!
Il Bafe-Meteos è inoltre una figura ermafroditica (come implica l’unione Toro-Leone della chiave di volta della sala del trono e quella Luna-Sole del volto di S. Giovanni); e ciò ci riporta al Giano bifronte, Signore delle due Vie, il quale proprio per tale ragione era accostato al segno pitagorico ‘Y’, che dell’unione di tali due vie è simbolo.
Dalla planimetria del primo piano del castello si osserverà quindi che la sala del trono è in effetti posta alla confluenza proprio di una teorica ‘Y’ data dalle posizioni reciproche delle tre porte-finestre del primo piano stesso, un tempo collegate tra loro tramite un ballatoio[14]:
E vi sono ulteriori considerazioni da avanzare. Senza insistere sull’assonanza tra i nomi di Giano e Giovanni, la quale assimilazione fonetica se non si fonda su di una comune etimologia rimane pur tuttavia simbologicamente emblematica[15], va ricordato l’accostamento frequentemente operato tra Giano bifronte e la Prudenza (= Meti).
Prima di essere una virtù cardinale, la Prudenza o Metis indica la capacità di applicare la ‘giusta misura’ (= μετρον), quell’equilibrio che permettere di trascendere ogni dualismo dando accesso ad una terza via che di codesto dualismo diviene sintesi. Siamo al cospetto del senso profondo della simbologia di Giano ‘bifronte’ allorché riferito al ‘tempo’. Giano è difatti detto il ‘Signore dei tempi’, in quanto egli è lo Janitor, ossia ‘Colui che apre e chiude ogni ciclo’. Al suo nome rimane collegato sia il sostantivo Januarius, inteso come il mese che ‘apre l’anno’, sia Ianua, la ‘porta’, la qual cosa tra l’altro ben si collega simbolicamente con la qualità, esclusivamente propria della sala del trono, di possedere i comandi per l’innalzamento della saracinesca del portale.
Se i due volti di Giano si riallacciano alla capacità di vedere indietro (il passato) ed in avanti (il futuro), il vero volto rimane allora quello invisibile che guarda all’atemporale ed eterno presente, essendo il presente temporale nulla più che un istante inafferrabile. Tale capacità di trascendimento del tempo, tale percezione unitiva oltre il dualismo, è stata simboleggiata dalle tradizioni orientali con l’immagine del possesso del ‘terzo occhio’ o ‘occhio frontale’; la patristica cristiana parla a sua volta dell’‘occhio del cuore o dell’anima’: unico ed immobile; mentre nella tradizione celtica l’equivalente è fornito dall’orbo, che simbolizza appunto colui che vede da un solo occhio.
Ora, riosservando con particolare attenzione la chiave di volta della sala del trono, notiamo come appaia con estrema evidenza che il viso ivi raffigurato presenti effettivamente l’occhio sinistro sensibilmente più basso dell’altro: come a denotare appunto di ritrovarsi ad esser privato della vista[16].
E’ importante ricordare che la cecità è posta in relazione con le qualità profetiche ed il vaticinio; pertanto risulta interessante che nel complesso simbolismo di Giano bifronte una parte fondamentale la svolga il suo riferirsi all’unione di Autorità Sacerdotale e Potere Regale, come testimoniato del resto dalle innumerevoli immagini che lo accostano al Cristo Gesù ed in cui egli impugna due chiavi[17]. Si ribadisce infatti, con ciò, che il potere delle due chiavi appartiene ad entrambi i Vicari del Cristo (Papa ed Imperatore), le cui funzioni Sacerdotale e Regale a loro volta appartengono appunto entrambe al Cristo, assieme alla funzione Profetica.
Tutta questa rapida disamina, avviatasi dalla simbologia del Bafe-Meteos, ci conduce in definitiva, attraverso la figura dei due S. Giovanni e di Giano, a Melchisedec, ‘Re di Giustizia e di Pace’, col cui ordine è conforme il Sacerdozio Regale di Cristo Signore[18]. Ed è a questo punto curioso osservare come, per una sovrapposizione omonimica, la ‘chiave di volta’ più significativa di Sancta Maria de Monte alluda precisamente al potere delle ‘due chiavi’, che in essa e da essa vengono simbolizzate: la ‘lunare chiave’ Regale del Paradiso Terrestre (in ‘argento’) espressa dal ‘Toro’ e la ‘solare chiave’ Sacerdotale della Gerusalemme Celeste (in ‘oro’) espressa dal ‘Leone’.
Sussistendo un diretto riferimento della chiave di volta della sala del trono al ‘Battesimo’, attraverso il simbolismo del Bafe-Meteos, non poteva non essercene uno anche con la Fonte del cortile.
Partiamo ancora una volta da alcune constatazioni di A. Tavolaro. Tale studioso, applicando teoricamente l’analemma di Vitruvio (= è una costruzione geometrica che consente di calcolare la lunghezza delle ombre proiettate da un gnomone – asta, torre, muro, ecc. – conoscendo l’altezza del sole sull’orizzonte al momento del rilievo), ha verificato come le dimensioni planimetriche del castello coincidano con le ombre date dalla parete Sud, presa come gnomone, esattamente al mezzodì dei giorni di ingresso del sole in ciascuno dei segni dello Zodiaco ![19].
Allorché riproponiamo questa figura, specificando esattamente la scansione degli elementi architettonici interessati dai passaggi zodiacali, otteniamo quanto segue:
- 1 – Capricorno 7 – Cancro
- 2 – Acquario 8 – LEONE
- 3 – Pesci 9 – Vergine
- 4 – Ariete 10 – Bilancia
- 5 – TORO 11 – Scorpione
- 6 – Gemelli 12 – Sagittario
Sarà facile notare come l’ambito corrispondente al centro-cortile, luogo della Fonte-Omphalòs, sia interessato dal passaggio dell’ombra gnomonica esattamente nel corso dei periodi zodiacali propri del Toro e del Leone: ovvero di quei simboli zoomorfi rispettivamente corrispondenti allo yin ed allo yang ermafroditico, alla Luna ed al Sole di S. Giovanni, alla chiave d’argento ed alla chiave d’oro di Giano, alla Regalitas ed al Sacerdotium di Melchisedec.
Comprendiamo pure, in tal modo, perché la simbologia tradizionale specifichi che la chiave d’argento è quella che apre, mentre la chiave d’oro è quella che chiude: in effetti, durante il segno del Toro (luna, argento, Regalità) avviene che, in quanto il sole è in ascesa, l’ombra gnomonica si ritiri progressivamente dal centro cortile permettendo così l’illuminazione della Fonte, ossia la sua apertura. Viceversa, durante il segno del Leone (sole, oro, Sacerdozio), essendo il sole in discesa, tale ombra va progressivamente a ricoprire la Fonte stessa, richiudendola. E ciò perfettamente in linea col duplice significato di Giano in quanto Janitor, ossia ‘Colui che apre e chiude ogni ciclo’.
Va precisato che qui siamo solo apparentemente in presenza di una contraddizione. Sembrerebbe infatti che si indichi una sorta di superiorità da parte della Regalità (azione attiva, di apertura) sul Sacerdozio (azione passiva, di chiusura). In realtà, dato il contesto Imperiale in cui ci si trova, se la duplice azione di apertura-chiusura (argento-oro) rimanda sì al comune Principio di appartenenza secondo l’ordine di Melchisedec – condiviso tra Regalità e Sacerdozio -, d’altro canto però questa duplicità rimane relativa nella fattispecie al solo livello del Paradiso Terrestre, che costituisce l’ambito di pertinenza appunto proprio della Regalità. A chi abbia un po’ di dimestichezza con la simbologia tradizionale risulterà immediatamente chiaro che ciò che si sta qui rilevando, in quanto appartenente ad un livello ontologico ‘terreno’, si pone in maniera specularmente invertita allorché vada a riferirsi in relazione al livello ontologico ‘celeste’. Questo ribadisce che, per mantenere l’ordine delle cose, nell’ambito temporale è l’istituzione della Regalitas a dover prevalere; laddove il Sacerdotium prevale nell’ambito spirituale.
La Fonte presente al centro-cortile rimane insomma l’immagine stessa propria del Paradiso Terrestre (e solo virtualmente, di riflesso, anche quella della Gerusalemme Celeste), posta come essa è, non dimentichiamolo, all’incrocio di quelle diagonali che abbiamo già visto determinare, con i lati del cortile e lungo la direzione Est-Ovest, l’angolo della precessione equinoziale. La chiusura-apertura della Fonte, per via del transito solare in concomitanza dei passaggi zodiacali dei segni Leone-Toro, non replica insomma altro che le fasi battesimali di ‘immersione-emersione’ nella Fonte medesima. Il porsi in conformità con l’ordinato scandire temporale del ciclo solare, operato dall’architettura del castello (il che, detto per inciso, è poi esattamente ciò che dona ritualità e quindi sacralità a tutto il contesto), mantiene come obiettivo il superamento del dualismo operato dal binomio Leone-Toro; per permettere di ritrovare poi, tramite il loro trascendimento, quella sintesi unificante espressa dall’occhio orbato del Bafe-Metios/Melchisedec[20], nei confronti della quale sintesi si pone appunto come necessario preventivo status propedeutico.
Per tornare al significato battesimale di Sancta Maria de Monte, è bene ribadire che tutto ciò non deve essere inteso quale una sostituzione del sacramento amministrato dal Sacerdozio, bensì semmai una sua attivazione piena e completa in vista di un’elevazione ad uno stato ontologico superiore[21]. Se è vero come è vero che fondamentalmente il Battesimo conferisce la fede – rappresentando l’ingresso, la porta sacramentale per accedere (=in-ire) ad essa: ed in ciò cogliamo nuovamente il riferimento a Giano-Ianitor -, bisogna comunque tener conto del suo stratificato simbolismo. Ad un primo livello esso “…lava l’uomo dalla sua lordura morale e gli permette di ottenere la vita sovrannaturale (passaggio dalla morte alla vita); su un altro piano evoca la morte e resurrezione di Cristo: il battezzato viene assimilato al Salvatore, la sua immersione nell’acqua è il simbolo della tomba e la sua emersione della resurrezione; ad un terzo livello il Battesimo libera l’anima dall’asservimento al demonio e lo ammette nella Militia Christi, segnandolo col sigillo dello Spirito Santo”[22].
Oltre all’evidente relazione che questa ‘ammissione’ nella Militia Christi presenta primariamente con l’ambito cavalleresco a cui tutto il presente contesto appartiene, il suddetto riferimento battesimale alla ‘morte-resurrezione’ del Cristo può e deve essere insomma posto in relazione con il significato escatologico legato all’Ottocentenario dell’Incoronazione Imperiale di Federico II, in virtù di quel suo rapporto con la Crocifissione del Re dei Re di cui si è discusso all’inizio di questo nostro intervento.
E’ notoria l’assimilazione operata dal Signore stesso tra la Sua Passione ed il Battesimo[23]; così come va colta, sempre attraverso la Passione, la contestuale relazione del Battesimo con l’Eucaristia, alla luce del significato posseduto da quel ‘sangue ed acqua’ sgorgati dal costato del Cristo crocifisso, in quanto segni e dell’una e dell’altro. L’Eucaristia, poi, è prefigurata nei doni del pane e del vino offerti ad Abramo da Melchisedec. E così il cerchio si chiude!
Terminando queste osservazioni sul Battesimo di Meti (simbolo del Bafe-Metios), possiamo ricordare che un passaggio fondamentale del tradizionale rito del sacramento del Battesimo (oggi non più attuato) era costituito dal ponimento del salis Sapientiae sulle labbra del battezzando.
Il ‘sale della terra’ di cui il Cristo Logos, in quanto salis Sapientiae, rappresenta il prototipo[24], è il nutrimento spirituale che rappresenta forza verso la salvezza e protezione dalla corruzione[25]. E’ emblematico, per quel che qui ci riguarda, che nei Libri Sapienziali dell’Antico Testamento la Prudenza, o Meti, sia ritenuta così intimamente legata proprio con la Sapienza[26].
Ciò può essere intanto posto in relazione con i due S. Giovanni, in quanto la simbologia propria del ‘sale’ gli deriva dal fatto che esso è estratto dall’acqua mediante evaporazione: esso è in pratica ‘il fuoco liberato dalle acque’ che dona attuazione piena e completa al Battesimo. Ma alla Sapienza è altresì inerente la S. Vergine, invocata nelle Litanie quale Sedes Sapientiae. Si deve dunque riconoscere la sussistenza di un rapporto tra la Madre di Dio, in quanto ‘seggio, sedile, dimora, abitazione, fondamento della Sapienza’, e la Prudenza-Meti, così come questa inerisce alla cosiddetta ‘sala del trono’.
Abbiamo precedentemente in parte già alluso al rapporto che il castello e quindi anche l’Imperatore mantengono con la Sapienza, in virtù dell’‘ordinata’ strutturazione che viene espressa integralmente dall’architettura dell’edificio. Ma vi è dell’altro!
Intanto, alla luce del rapporto che la Sapienza mantiene con la Regalitas, rimane significativo che Leone e Toro siano proprio gli animali che comparivano incisi sul ‘trono di Salomone’, il Re ‘sapiente e giusto’ per antonomasia[27]; la qual cosa denoterebbe, insomma, una esplicita compartecipazione con un medesimo ambito simbologico operato dalla ‘sala del trono’ di Sancta Maria de Monte.
Ma a parte ciò, vi è un ulteriore elemento architettonico del castello che, strettamente collegato con tale sala, riesce a riunire tutti i summenzionati riferimenti simbolici per stabilirne una evidente sintesi. Stiamo parlando di un ‘bassorilievo’ che, secondo alcune testimonianze, viene ricordato per essere stato un tempo incastonato sulla parete Ovest del cortile, proprio dirimpetto alla porta-finestra della sala del trono da cui risultava perfettamente visibile [28]. Lo riferisce R. Napoletano su descrizione del Colavecchia, il quale ne aveva preso visione prima che esso andasse distrutto. Pare che rappresentasse: “…una donna vestita alla greca a cui recavano omaggio dei Cavalieri vestiti alla normanna”[29].
La parete Ovest del cortile, con al primo piano il riquadro che ospitava il bassorilievo,
vista dalla porta-finestra della sala Est o ‘del trono’.
Tale figura femminile è stata da più parti interpretata come un’allegoria appunto della Sapienza. Ma quello che a noi interessa più immediatamente porre in risalto è la sua significatività simbolica allorché posta in relazione con l’orientamento del portale, e quindi con quello del castello tutto. Ne spieghiamo il senso.
In pratica, poiché tale bassorilievo era esattamente prospiciente alla porta-finestra della sala Est del primo piano (la sala del trono), la quale a sua volta prende luce dall’esterno attraverso quella bifora posta esattamente al di sopra del portale ([30], in alcuni determinati giorni si veniva a verificare che la prima luce dell’alba, attraversando la sala Est e fuoriuscendo nel cortile attraverso la sua porta-finestra, andasse ad illuminare esattamente il suddetto bassorilievo .
Tale fenomeno, che si ripete ovviamente due giorni l’anno – uno nella fase ascendente ed uno in quella discendente del ciclo annuale solare -, va letto secondo un particolare senso.
In quanto il Sole si pone in asse perfetto col portale del castello, ebbene, come dice la parola stessa, esso va in pratica a dar vita col suo raggio alla perpendicolarità dell’Asse del Mondo, che simbologicamente è volto verso il centro della parete Ovest del cortile, realizzando così quell’arresto nella precessione degli equinozi che implica il bilanciamento della loro ciclicità, la loro conciliazione in quanto opposti; in una parola: il loro trascendimento ed il contestuale ripristino dello stato edenico!
Intesi in tal modo, i suddetti due giorni divengono veramente l’espressione piena e completa di tutta quanta la simbologia prospettata dal castello; e la loro identificazione non tradisce certo queste aspettative!
Tenendo pertanto conto della latitudine del luogo e dell’orientamento azimuthale del portale, che è di 95°30’ (in quanto è stato misurato esservi un leggero scarto, rispetto al preciso punto Est, valutato come essere pari a 5°30’ in direzione Sud-Est)[31], con l’ausilio delle effemeridi si identificano così i due giorni in cui il primo raggio solare dell’alba va a colpire il rettangolo che ospitava l’immagine della Donna-Sapienza: essi sono il 6 marzo ed il 7 ottobre!
Tali due date, dunque, possono essere considerate la vera e propria cornice di tutta la simbologia che il castello intende manifestare attraverso la figura della Donna-Sapienza![32]
La prima cosa da notare, per partire da un punto di vista astronomico-astrologico, è che il 6 marzo è il 15mo giorno precedente l’equinozio di primavera, nonché il 15mo (e quindi quello esattamente centrale) del segno zodiacale dei Pesci. A sua volta, il 7 ottobre è il 15mo giorno seguente l’equinozio d’autunno, nonché il 15mo (e quindi anch’esso quello esattamente centrale) del segno zodiacale della Bilancia. Vediamo insomma qui ricomparire non solo un rinnovato riferirsi agli equinozi, ma altresì al n.15; ed il fatto che questo sia il giorno esattamente ‘centrale’ del corrispondente segno zodiacale lascia intendere la volontà di esprimere il guadagno di una sorta di stabilità ed equilibrio all’interno di un ambito temporale che, in senso analogico, rimanda alla precessione equinoziale. Ma torneremo tra breve su questo.
Nel frattempo, a rinforzo di quanto stiamo cercando di mostrare, notiamo come l’importanza di una relazione operata dall’orientamento del portale di Sancta Maria de Monte proprio con questi due segni zodiacali (Pesci e Bilancia), sarebbe peraltro già evincibile anche da un’altra contingenza strutturale-architettonica del castello: la costituzione di tre quadrati che, come ha evidenziato A. Tavolaro, scandiscono la costruzione geometrica della sua planimetria [33]. Esso è stato infatti edificato in modo che la sua superficie dovesse essere appunto ritmicamente scandita – in concomitanza con alcune delle già precedentemente citate scadenze astrologico-zodiacali – dal progressivo ed esatto raddoppiamento di tre quadrati concentrici[34].
La superficie di un quadrato tracciato lungo il perimetro maggiore delle sale è doppia della superficie di un quadrato inscritto in tale perimetro. La superficie di questo secondo quadrato, a sua volta, è doppia di quella di un quadrato tracciato lungo i lati del cortile. Da notare che questi quadrati coincidono (con i lati o con gli angoli) con la lunghezza delle ombre di settembre-ottobre, ovvero di marzo-febbraio.
Resta pertanto confermato il fatto che, in quanto le lunghezze delle ombre che teoricamente scandiscono questi quadrati sono quelle desunte dal passaggio del sole nei periodi settembre-ottobre (che appartiene, appunto, al segno della Bilancia) e febbraio-marzo (che, a sua volta, appartiene al segno dei Pesci), tali due ambiti temporali e zodiacali, ribaditi architettonicamente in vario modo, detengono insomma una fondamentale importanza nel significato sacrale del castello!
E’ interessante subito ribadire che, una volta di più, siamo al cospetto di una simbologia la cui chiave di lettura consiste nel suo essere espressione della conciliazione di una dualità, una loro fissazione in equilibrio nella prospettiva di un loro trascendimento.
Intanto perché, come dicevamo, sia il 6 marzo che il 7 ottobre sono i giorni centrali dei rispettivi segni, ponendosi pertanto in una posizione di stabilità tra le due opposte metà; ed inoltre perché gli stessi segni sono effettivamente costituiti da elementi doppi: i due Pesci ed i due piatti della Bilancia. Osservando il loro tradizionale geroglifico notiamo che i due elementi di ciascun segno sono raffigurati uniti tra loro in maniera tale che al centro del primo appare quello che è riconosciuto come un cordone ombelicale posto tra i due Pesci, mentre al centro del secondo vi è un semicerchio, simbolo di equilibrio, che in effetti corrisponde all’ago della Bilancia.
PESCI BILANCIA
A parte l’evidente rimando all’equilibrio che è pertinente al segno della Bilancia, da parte sua si può attribuire anche a quello dei Pesci tale medesimo senso di stabilità, di convivenza e conciliazione di forze contrastanti; ciò in virtù del suo geroglifico, in quanto in esso i due pesci sono mostrati uniti eppur ‘accoppiati in senso inverso’. Come è evidente, tutte le suddette qualità (equilibrio, stabilità, conciliazione di contrasti) sono del resto gli attributi che sono propri della Iustitia.
Non da ultimo, tanto i Pesci quanto la Bilancia appaiono possedere un legame con la S. Vergine Maria. Difatti, tanto il simbolismo del pesce in sé, quanto la presenza del suddetto cordone ombelicale donano al contesto un chiaro riferimento alla simbologia della fecondità e della maternità. Per quel che riguarda poi il simbolo della bilancia, non va dimenticato che nella tradizionale rappresentazione iconografica della ‘pesa delle anime’, al momento del Giudizio Finale (= psychostasia), compaiono l’Arcangelo Michele che regge la bilancia e la S. Vergine che equilibra con una spada il peso tra i due piatti, intercedendo a favore dell’anima del Suo devoto.
E a conferma di ciò deve aggiungersi quanto segue! E’ nota la tradizionale prassi edificatoria secondo cui l’orientamento del portale di un edificio sacro (o dell’abside, nel caso di una chiesa) fosse tradizionalmente fissato rivolgendosi all’esatto punto dell’orizzonte da cui sorgeva il sole nel giorno della figura divina a cui il luogo doveva venire dedicato. Questo ci offre quindi l’opportunità di giustificare e confermare l’effettiva dedicazione alla Madre di Dio, verificandone la corrispondenza con i suddetti giorni.
Ebbene, in concomitanza del 6 marzo ritroviamo in Puglia una festività mariana che vanta un’antichissima tradizione: si tratta di quella dedicata alla cosiddetta Madonna di Costantinopoli, altresì denominata Vergine Hodegetria (= Colei che mostra il cammino).
Il 7 ottobre, da parte sua, è la ricorrenza della Madonna del S. Rosario. Se tale festa fu effettivamente istituita solo nel 1571 in occasione della vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto, ossia posteriormente all’edificazione di Sancta Maria de Monte, tuttavia nel XIII sec. già esisteva attorno a quella data la tradizionale solenne processione svolta dalle Confraternite del Rosario, in onore appunto della S. Vergine del Rosario: ciò a denotare la congruenza con tutto quel che stiamo constatando.
Dunque, in quella figura femminile presente nel bassorilievo della parte Ovest del cortile e che viene illuminata dal primo raggio di sole dell’alba, transitante attraverso la ‘sala del trono’, non può a questo punto che leggersi il typus della Donna: la Madonna, la S. Vergine in quanto Sedes Sapientiae. Ella è quel ‘seggio-trono, abitazione sapienziale’ alla cui evocazione contribuisce l’orientamento del portale: e quindi, con esso, il significato del castello tutto.
Come ultima constatazione (la cui enunciazione non esaurisce di certo il numero di tutte quelle che sarebbe ancora possibile avanzare[35]) proponiamo ciò che a questo punto può ritenersi la più emblematica circostanza che permette di cogliere attorno alla figura di Federico II, e contestualmente anche al suo castello di Sancta Maria de Monte, una vera e reale luce di ‘provvidenzialità’; contingenza che fu peraltro da lui stesso consapevolmente vissuta e riaffermata con profonda convinzione, così come ci è dato di riscontrare dalla lettura di gran parte delle sue Lettere diplomatiche e private, delle sue Leggi e dei suoi Manifesti sino a noi pervenuti[36].
Se tale ‘provvidenzialità’ venisse riconosciuta e confermata, ciò non solo inficerebbe tutte le accuse di eterodossia rivolte faziosamente dalla pubblicistica guelfa contro l’Imperatore (e riprese nel tempo, fino ad oggi, da studi storici superficiali quando non in mala fede), ma legittimerebbe pure la sussistenza di quel suo ruolo escatologico a cui alludevamo all’inizio[37].
Riprendiamo dunque i geroglifici dei due segni zodiacali di Pesci e Bilancia su cui si è sin qui discusso. Abbiamo già dimostrato la loro ontologicamente essenziale esemplarità nel qualificare sia l’identità mariana e la funzione mediatrice, proprie del castello, che conseguentemente quelle proprie dell’Imperatore Hohenstaufen stesso, visto che l’edificio ne rappresenta l’identità simbolica scolpita nella pietra.
Ebbene, allorché accostati uno sull’altro, tali due segni zodiacali si configurano in tal modo:
Ad un’attenta meditazione su di essi, non può allora non comparire alla consapevolezza l’inconfondibile sagoma di un Calice, sovrastato da quella che potrebbe essere interpretata sia come un’Ostia, sia come una Patena: il piccolo piatto liturgico su cui il Sacerdote deposita le particole dell’Ostia stessa, quando consacrata [38].
In virtù di tale circostanza si possono allora avanzare tre osservazioni:
- In quanto il Calice è ciò che accoglie il Sangue di Cristo, e la Patena ciò che accoglie il Corpo di Cristo, questa immagine data dai segni di Pesci e Bilancia non è altro che la rappresentazione completa, sotto forma simbolica, della S. Vergine nella sua funzione appunto di Contenitore, Arca del Logos. E riconducendo il tutto all’ambito cavalleresco a cui Sancta Maria de Monte appartiene, ciò sarebbe insomma la più esplicita rappresentazione della Coppa del Graal.
- Il Calice e la Patena sono i simboli dell’Eucaristia. Ritrovarli espressi dal presente contesto Imperiale è la garanzia della sua ortodossa appartenenza all’Ordine di Melchisedec, il quale, per l’offerta che egli fece ad Abramo dei doni del pane e del vino, è prefigurazione del Sacerdozio Regale del Cristo.
E se queste due sono contingenze più generali, ossia solo indirettamente riferibili alla figura di Federico II, ve ne è una terza che rimane invece più specificatamente a lui concernente:
- Hohenstaufen significa in tedesco ‘Alto Staufen’, il quale nome designa l’altura su cui fu costruito il primo castello della dinastia omonima. Se Hohe significa ‘altezza, sommità’, da parte sua il sostantivo ‘Staufen’, che deriva da Stouf (vocabolo appartenete all’Antico alto tedesco), traduce sorprendentemente proprio ‘calice, coppa’, oltre che ‘acquasantiera’[39]. Esso è stato molto usato nel designare toponimi relativi ad alture conformate con tale sagoma.
D’altro canto, operando una differente suddivisione della medesima parola, abbiamo pure: Hohens + Taufen. Mentre la prima parte, sempre in tedesco, significa ‘alte montagne’, la seconda traduce ‘battezzare’, sancendo definitivamente la certezza di essere qui al cospetto di un purissimo caso di Nomen Omen.
Alcune conclusioni.
La valenza escatologica posseduta da Federico II Hohenstaufen, cripticamente espressa dalla sacrale architettura di Sancta Maria de Monte, può e deve essere letta in relazione al passo paolino di 2Ts 2,3-7, notoriamente caposaldo di tutte le argomentazioni escatologiche: ‘Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia (ἀποστασία) e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione (τῆς ἀπωλείας), colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce (τὸ κατέχον) la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità (τῆς ἀνομίας) è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo (ἐκ μέσου) chi finora lo trattiene (ὁ κατέχων)’.
Innumerevoli e varie sono state le proposte esegetiche volte ad interpretare tale enigmatico passo, nonché a comprendere, in special modo, a chi o a che cosa debba venir riferito quel termine Katechon. Tuttavia, tra di esse, la spiegazione più accolta da tutti i Padri, Latini e Greci, è stata certamente quella secondo cui τὸ κατέχον indica una forza, un potere: l’‘Impero Romano’; la qual cosa si concretizza allo stesso tempo in una persona: ὁ κατέχων, l’‘Imperatore’.
Se Tertulliano, Giovanni Crisostomo, Giovanni Damasceno, Lattanzio, S. Cirillo Gerosolomitano, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, tutti concordavano nell’indicare l’Impero Romano come ‘ciò che impedisce, trattiene, frena, contiene, regge’ il manifestarsi dell’anticristo, per parte nostra rimane quindi indubitabile che nel ‘Sacro Romano Impero’, il quale ha raccolto la sostanziale eredità dell’antico Imperium dopo averla cristianizzata, debba riconoscersi il Katechon nella sua più recente identità ontologica.
La convinzione, figlia di un ideologismo di matrice guelfa, di un’avvenuta assunzione della funzione ‘catecontica’ dell’antico Impero Romano da parte della Chiesa cattolica, intendendo però questa come rientrante nell’esclusiva titolarità del Papato (Papa-Re), è imprecisa ed errata per più motivi. E’ innanzitutto indice di ‘incompletezza’ ridurre la Chiesa di Cristo al solo Suo aspetto Sacerdotale, relegando quello Regale ad una mera convenzione non necessariamente esercitata in concreto dalla corrispondente funzione, ma piuttosto solo nominalmente rivestita addirittura dal Sacerdozio stesso. Ma a parte ciò, e senza qui dilungarci su come procedere per stabilire il più correttamente possibile quali siano o quali vogliano essere le dinamiche di relazione tra Sacerdotium e Regalitas, va da sé che la funzione di Katechon, in quanto comunicatasi da Impero ad Impero, è e rimane inserita nell’ambito del ‘ Potere temporale’.
Oltretutto, che essa risulti di effettiva ed esclusiva pertinenza della Potestas Regale lo attesta chiaramente la natura di ciò a cui essa funzione si oppone: intendiamo quel mistero di iniquità a cui si allude nel passo succitato della Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Il testo greco rende infatti il significato di ‘iniquità’ con ανομια, come abbiamo già visto; ma pure con αδικια, come compare in un successivo versetto del medesimo capitolo (cfr. 2Ts 2,12)[40]. Orbene, se il primo termine (anomia) traduce letteralmente ‘senza legge’, il secondo (adikia) significa ‘senza giustizia’.
L’iniquitas di cui in questione, la ‘mancanza di equità’, si costituisce pertanto come l’esatta inversione dell’Imperium, la cui peculiare prerogativa è appunto quella di emanare la Lex ed amministrare la Iustitia. La funzione Regale, in analogia con la sapienziale funzione ordinatrice del Creatore, è in definitiva quanto concorre al mantenimento dell’ordinata ed equilibrata disposizione del Mondo. Il suo venir meno al proprio ruolo di medianità tra il temporale e lo spirituale dell’uomo (laddove il Sacerdotium media tra l’uomo in toto e Dio), il suo esser ‘tolto dal mezzo’, l’esser ‘allontanato’ (apostasìa) dalla propria posizione ‘mediatrice’, è ciò che causa la venuta del ‘figlio della perdizione’, ossia l’anticristo: ‘figlio’ in quanto conseguenza dell’abolizione dell’Impero[41], della distruzione e perdita dell’ordinamento, che è a sua volta causa di rovina in quanto caduta al di fuori del rectum stabilito dal Rex. L’apostasìa (dal verbo gr. ἀφίστημι, ‘allontanare, disgiungere, rimuovere, far sparire’), che si dice debba di necessità precedere la venuta dell’anticristo, appunto significa propriamente l’allontanamento, la sparizione dell’Impero dalla sua funzione di Katechon.
Un’ultima annotazione va fatta tenendo conto della contingenza secondo cui il ‘mezzo’ da cui l’Impero viene allontanato, disgiunto e separato (apostasìa), è espresso nel testo greco dal termine μέσος. Guarda caso, questa parola vale gematricamente 515[42], la qualcosa ribadisce una volta di più la valenza escatologica sottesa a Sancta Maria de Monte ed all’Imperatore Federico II Hohenstaufen: e ciò attraverso la figura della S. Vergine, la παρθενος (= valore gematrico 515)[43] ed il cinquecento dieci e cinque dantesco. (Fine)
18 marzo 2020 (nella ricorrenza dell’Incoronazione di Federico II a Re di Gerusalemme)
Le due parti del presente articolo sono state pubblicate nella rivista Atrium, Anno XXIII (2021) nn. 3-4.
Note
[1] Fig. tratta da A. Tavolaro, op.cit.
[2] Ibidem.
[3] Fig. tratta da C. Cecchelli, Mater Christi, Ed. Fr.Ferrari, Roma 1954.
[4] T. Burckhardt, L’arte sacra in Oriente ed Occidente, Ed. Rusconi, 1976, p. 71.
[5] La preghiera della Corona del S. Rosario è costituita dalla meditazione su 15 Misteri, suddivisi in tre terne di 5. Nel totale delle tre terne essa consta poi della recitazione di 150 Ave Maria, 15 Pater Noster, 15 Gloria Patri nonché 5 Salve Regina. Per una più approfondita disamina dell’argomento vd. C. Intini, S. Maria del Graal, op. cit., pg. 126 sgg.
[6] 515 = 80+1+100+9+5+50+70+200.
[7] 155 = (3) + (40+1+100+10+1) = 3 + 152. Precisiamo che la lettera gamma (γ), quando isolata, secondo una prassi antica è l’abbreviazione dell’aggettivo αγιος.
[8] Purg. XXXIII 43-44.
[9] 670 = 80+1+100+4+5+10+200+70+200. La versione παρδεισος si costituisce come la forma più antica della parola παραδεισος. In essa la preposizione iniziale παρα, nella sua posizione di prefisso, compare elisa così come d’uso in Omero e nei Tragici.
[10] 15 = 3+1+10+1.
[11] Foto tratta da G. Sciannamea, Iniziazione a Castel del Monte, Adda Ed., Bari 1993.
[12] Fig. tratta da D.Seward , The monks of war, Penguin Books, 1995, p. 47.
[13] Fulcanelli, Dimore fiolosofali (vol I), Ed. Mediterranee, 1988, p.163 sgg.
[14] Questa lettera Y, che ricordiamo possedere un valore gematrico pari a 400, intrattiene senz’altro un’attinenza sia con la figura del Cristo crocefisso, sia con quanto da noi osservato in precedenza in merito alla scadenza Quattrocentenaria dell’Incoronazione di Federico II.
[15] Ricordiamo, a tal proposito, che le due feste latine di Giano, collocate in prossimità dei due solstizi, sono state di fatto sostituite da quelle dei due S. Giovanni: il Battista in concomitanza del solstizio estivo e l’Evangelista di quello invernale.
[16] Che ciò non debba sembrare una forzatura, lo garantisce il fatto che esiste nel castello un ulteriore ed ancor più chiaro esempio scultoreo di un viso raffigurato con un medesimo ‘occhio orbo’. Localizzato nel vano della cosiddetta ‘torre del falconiere’, questa volta esso non è collegato con una chiave di volta, ma costituisce una ‘maschera’ adibita a mensola e sostenente un’arcata. Seppur attinente per significato simbolico, tuttavia in questa sede non ci soffermeremo su di esso!
[17] A volte compaiono invece una chiave ed uno scettro, ma il senso è ovviamente il medesimo. A tal proposito è interessante ricordare che nel Messale Romano, l’Antifona al Magnificat del 20 dicembre così acclami il Cristo: “O Chiave di Davide, Scettro della casa di Israele, che apri, e nessuno può chiudere, chiudi, e nessuno può aprire”.
[18] Cfr. Gen 14,18-20; Sal 109,4; Eb 7,1-3.
[19] Fig. e nota tratte da A. Tavolaro, op. cit. Da tali calcoli, peraltro, sempre teoricamente viene determinata anche l’esistenza della prima recinzione ottagonale, quella più prossima alle mura, di cui rimangono oggi ancora poche tracce.
[20] E’ degno di nota che nella tradizione islamica il termine ‘ayn, ‘occhio’, significhi anche ‘fonte’.
[21] Cfr. supra, nota 34.
[22] J. Chevalier – A. Gheerbrant, Dizionario dei Simboli (Vol. I), op. cit., p.140 sg.
[23] Cfr. Mc 10,38; Lc 12,50.
[24] Mt 5,13.
[25] E’ interessante notare come il verbo latino sapio significhi tanto ‘aver sapore, sapidità’, quanto ‘esser saggio, prudente, conoscere, capire, sapere’.
[26] Cfr. Pr 2,2; 2,6; 3,13; 8,1; 8,5; 8,12; 19,8; 21,30; 24,3. Sap 6,15; 7,7; Sir 1,4; 19,19.
[27] Cfr. 1Re 10,18-20.
[28] Foto tratta da C.A.Willemsen, Castel del Monte, Adda Ed., Bari, 1984.
[29] R. Napoletano, Castel del Monte, Andria, 1926.
[30] Foto tratta da C.A.Willemsen, op.cit.
[31] Pur senza insistervi, non possiamo non far notare l’emblematica circostanza secondo cui anche tale scarto azimutale del portale si rifaccia alla simbologia del n.5; e ciò essendo 5,30° equivalente a 5,5, che è peraltro la misura in metri del diametro del portale stesso (cfr.supra).
[32] Vogliamo preventivamente rispondere alla possibile obiezione relativa al fatto che nel XIII sec. il calendario adoperato era in realtà ancora quello giuliano, notoriamente in ritardo rispetto a quello odierno, detto gregoriano, che fu introdotto solo a partire dal 1582 .
La necessità dell’introduzione del moderno calendario sorse in quanto, a causa di un’imperfezione di quello giuliano, le date di solstizi ed equinozi erano andate vieppiù retrocedendo, non corrispondendo più con quelle fissate già da Ipparco nel II sec. a.C. e designanti l’inizio delle stagioni! Se nel ‘500 lo scarto era arrivato ad essere addirittura di 10 giorni, nel ‘200 esso era già di ben 8 giorni: in pratica l’equinozio di primavera avveniva il 13 marzo anziché il 21; e di conseguenza, quelli che noi oggi chiamiamo 6 marzo e 7 ottobre, astronomicamente a quei tempi corrispondevano al 27/28 febbraio ed al 29/30 settembre del calendario corrente.
Tuttavia, ciò non rappresenta un’incongruenza con tutto quanto si dirà in seguito con le nostre osservazioni astronomico-astrologiche, poiché esse rappresentano in assoluto una simbologia concernente rispettivamente il 15mo giorno precedente l’equinozio di primavera ed il 15mo giorno successivo all’equinozio di autunno. La scienza posseduta ed applicata dai costruttori di Sancta Maria de Monte era sicuramente tale da essere ben conscia di questa divergenza tra calendario corrente e realtà astronomico-astrologica; e del resto, era solo il riferimento a quest’ultima ciò che informava i significati simbologici che si volevano evidenziare!
[33] Fig. e nota tratte da A. Tavolaro, op.cit.
[34] Al di là di rappresentare ciò una semplice curiosità geometrica, constatiamo come appaia l’evidente intenzione di Sancta Maria de Monte di alludere al simbolo della Triplice Cinta, il quale, come è noto, è anch’esso espressione del Paradiso.
[35] Tra queste, soprassediamo ad esempio alla disamina della planimetria del primo piano, sempre alla luce di una relativa applicazione della Tavola di Teone.
[36] Cfr. A. de Stefano, L’idea imperiale, op.cit.
[37] Per un approfondimento sugli aspetti metastorici ed escatologici legati a Federico II rimandiamo a: C. Intini, L’idea Imperiale e cavalleresca in Castel del Monte: metastoria Hohenstaufen e ghibellina, in Vie della Tradizione nn. 135-136, Palermo, 2004.
[38] Nella foto: Calice di S. Francesco nel Tesoro di Assisi.
[39] A proposito di quest’ultimo significato, non si può non ricordare che al simbolismo cristiano del pesce appartiene anche il riferimento al bagno nel fonte battesimale, altrimenti detto ‘piscina, peschiera’. Durante il Diluvio Universale, oltre alle otto persone sull’Arca anche i pesci non sono stati colpiti dalla maledizione di Dio. E così i Cristiani, grazie al Battesimo, sarebbero diventati simili ai pesci. Il pesce è oltretutto un pasto eucaristico: nelle raffigurazioni tradizionali dell’Ultima Cena il pesce appare frequentemente sulla tavola, accanto al pane ed al vino. Tale simbologia viene rinforzata dalla circostanza che anche il Cristo, dopo la Resurrezione, si ciba di pesce con gli Apostoli, come è riportato in Lc 24,42; Gv 21,12.
Peraltro, a conclusione ci chiediamo se possa credersi solo frutto del caso che questi rispettivi numeri di capitolo e versetto (24 e 42; 21 e 12), relativi all’episodio del Cristo Risorto che mangia il pesce, siano esattamente configurati uno inverso all’altro così come lo sono i Pesci zodiacali.
[40] E’ significativo che, nel versetto qui menzionato, l’‘iniquità’ intesa come ‘mancanza di giustizia’ venga posta in relazione con la mancanza di ‘verità’: ‘…e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità’ (2Ts 2,12).
[41] Il termine che traduce ‘perdizione’, ἀπωλεία, deriva dal verbo ἀπόλλῦμι, che è a sua volta in relazione con il lat. aboleo.
[42] 515 = 40+5+200+70+200.
[43] Cfr. nota 57.