La Gematria è ‘scienza sacra’ non tanto, o soltanto, per il semplice motivo che essa ci introduce ad una conoscenza più profonda del Mistero cristiano-cattolico, quanto soprattutto perché, diversamente da una qualunque scienza ‘religiosa’1 (tra le quali, detto incidentalmente, è da annoverarsi anche la moderna teologia) tale conoscenza è ‘rivelata’: prende cioè le mosse ‘direttamente’ dai Principi sovrannaturali, dai sacri Archetipi, e quindi non a partire dalla naturalis ratio, come per il pensiero filosofico. Vogliamo immediatamente precisare che l’obiezione per cui tutto ciò possa eterodossamente scadere in una forma di ‘gnosi’ è del tutto risibile, e ciò per tre motivi: a) a causa di un’eccessiva superficialità, quando non sia vera e propria ignoranza, il termine gnosi è oggi per lo più impropriamente sovrapposto – e con esso confuso – al termine ‘gnosticismo’, il quale ultimo in realtà denota un fenomeno che della gnosi rappresenta piuttosto un aspetto degenerato, nonché, questa volta sì, affatto eretico; b) allorché adeguatamente distinta dallo gnosticismo, l’autentica gnosi non è legittimamente altro che una ‘fede pensata’, come ebbe del resto a precisare anche Benedetto XVI in occasione di una Udienza Generale dedicata a Clemente Alessandrino2, il Padre della Chiesa che sull’autentica gnosi ha fornito probabilmente i più insigni ammaestramenti; c) seppur ‘fede pensata’, la gnosi non è tuttavia una modalità della naturalis ratio, bensì una ‘scienza divina’3. In verità, riteniamo che la questione debba piuttosto prendere le mosse dalla necessità di riformulare in maniera maggiormente adeguata il significato con cui ‘fede e ragione’ debbano venire intesi, stante l’insufficienza dell’usuale senso che ad esse viene solitamente attribuito; in maniera tale da poter meglio cogliere la reale ampiezza della portata veritativa implicita ad una loro più profonda, oltre che più corretta, concezione; e quindi anche, di conseguenza, in merito ad una loro più efficace attualizzazione. . L’apporto dell’ermeneutica gematrica risulta risolutivo per una ridefinizione dei rispettivi significati propri di ‘fede e ragione’, nonché per l’individuazione della loro reciproca e più efficace dinamica relazionale. Non solo tramite essa ermeneutica, e contro ogni fideismo, viene infatti riconfermata tutta l’intrinsecità delle ‘due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della Verità’4 – definizione formulata da Giovanni Paolo II per alludere alla sinergia che è propria di tali due peculiari doti esclusive dell’anima umana, l’unità della quale ultima è costituita e sostenuta proprio dalla equilibrata sintonia dialettica mantenuta pienamente in atto tra di esse -; ma oltre a ciò, prospettando un più elevato e sottile livello ontologico ad esse pertinente, si perviene in tal modo ad una loro ricapitolante sintesi qualitativa realmente e sacralmente verticalizzante, che permette di superare il rischio di una orizzontalità di tipo profano a cui inevitabilmente costringe invece tanto una ‘fede’ semplicemente intesa quale emozionale ‘fiducia’ (lat. fides, gr. πιστις) quanto una ‘ragione’ di carattere ‘razionale, discorsivo, indiretto, riflesso’ (lat. ratio, gr. διανοια). Nella migliore delle soluzioni prospettate, tale ‘orizzontalità’ ha sin’ora comportato una concezione del rapporto fede-ragione quale sì certamente fondata su di un carattere di reciproca non-contradditorietà e di rispettiva non-estrinsecità; tuttavia, tale carattere rimane gravato da quella incolmabile discontinuità che pone la fede per così dire in ‘ulteriorità’, in ‘eccedenza’ sulla ragione; impedendo pertanto, ad un’unità dell’anima personale che rimarrà non perfettamente in equilibrio, di ottenere la pienezza di un incontro integrale attuato con la Verità, in vista di un Suo più saldo e stabile accoglimento.
Per dirla in altri termini: la ragione, allorché modulata secondo i procedimenti del ‘sapere epistemico’ così come è applicato nei contesti scientifico-profani, non può per sua natura rapportarsi con la fede se non per il tramite di un ulteriore preventivo e necessario momento di ‘assenso’ della coscienza; il quale, però, non sarà mai predeterminato dall’apparire assoluto, evidente ed incontrovertibile dell’oggetto della fede medesima e lascerà, per questo, i principi e gli articoli di fede sempre suscettibili di dubbio. Credere nel Signore Gesù, insomma, secondo questo rapporto tra fede e ragione prescinde dal riuscire a ‘vederlo’ come realmente e sicuramente qui presente! Nonostante il passo di Gv 20,29 sembri esprimere tutto l’apprezzamento del ‘credere pur senza aver visto’5, quello che pare esser stato però dimenticato dal pensiero conoscitivo occidentale – in quanto logos – è che il ‘vedere’ non potrà soddisfare pienamente le proprie aspettative gnoseologico-veritative se esso non risulterà conseguente ad un preventivo ‘intellettuale’ (= dell’intellectus) atteggiamento di ‘ascolto’ della rivelazione operata dal Logos Sapienza. Nel libro dei Proverbi è scritto: ‘…tendendo il tuo orecchio alla Sapienza e volgendo il tuo cuore all’intendimento (συνεσις)6,…troverai la conoscenza (επιγνωσις) di Dio; poiché è il Signore che concede la Sapienza, Egli dona la scienza (συνεσις) e la conoscenza (γνωσις)’7. Ed ancora, nel Siracide, altro libro sapienziale dell’A.T.: ‘Se ti è caro ascoltare, imparerai; se porgerai l’orecchio, sarai sapiente’8. S. Paolo, poi, nella Prima Lettera ai Corinzi, afferma: ‘…siate in perfetta ed ordinata unione (κατηρτισμενος) di pensiero (νους) e di sentire (γνωμη)’9. Inoltre, da parte sua, Clemente Alessandrino dice: ‘…la fede è l’orecchio dell’anima’10. E così via!
Nel pretendere di adottare un procedimento gnoseologico che si basi esclusivamente su di una concezione ‘visiva’ prescindendo da un momento ‘auditivo’ – come è prassi a cui si è ridotto il logos filosofico post-medievale, o persino la teologia moderna – è tutta racchiusa sia la serpeggiante presunzione antropocentrica di pervenire alla Verità prescindendo da Dio, sia, parallelamente, la ‘luciferina’ tentazione di dimenticarsi dell’analogica corrispondenza che è ontologicamente sottesa tra Dio e l’uomo, tra Logos e logos!
Tutto ciò rimane paradossale se pensiamo che è proprio questo l’atteggiamento di fede ritenuto essere oggi maggiormente cattolico! Eppure, il semplice approccio del pensiero fondato sul ‘vedere’ è quanto di più fuorviante ed ingenuo debba e possa concedersi il Christi fidelis cattolico, allorché realmente ‘credente’ nell’attuale ‘presenza’ del Logos Signore Gesù, di Lui come già effettivamente ‘in mezzo a noi’ e ‘con noi fino alla fine dei giorni’11. In tal modo viene infatti inibita la possibilità dell’anima di riconoscere ed apprezzare tale ‘presenza’ secondo le Sue effettive modalità propriamente velate, latenti, simboliche, essendosi il pensiero ridotto a ritenerla come semmai possibile e attuabile solo in termini di palpabile ed esplicita ‘appariscenza’ fisica!
In definitiva, proprio in quanto logos, il pensiero-parola umano deve necessariamente conformarsi con il Logos divino, per attualizzare così un incontro ‘evidente ed incontrovertibile’ con Lui e fruire più pienamente della Sua grazia!
Alla luce di quanto appena detto, appare del tutto significativo che la sintesi tra fede e ragione a cui stiamo alludendo risulti esprimibile per il tramite di un termine tratto dal vocabolario teologico paolino: si tratta di quel sostantivo ομολογια (omologhia) che S. Paolo utilizza estesamente per significare la ‘confessione o testimonianza di fede’12. Presentando tra le proprie preziose sfumature di senso anche quelle di ‘assenso, consenso, adesione, concordia, corrispondenza, armonia’, desumibili per il suo etimologico riferimento ad una ‘volontariamente guadagnata armonia e conformità con il Logos’ (= ομος + λογος), l’omologhia si presenta quale termine dalla valenza di ‘cerniera’ tra le due doti, proprio in virtù del suo simultaneo concernere, appunto, tanto l’atto di fede quanto l’atto di pensiero-parola (λογος). L’ομολογια, di cui la Gematria rappresenta il momento ermeneutico applicativo, si costituisce insomma come quell’atteggiamento di ‘totalizzante assenso’ che permette contestualmente di riunire, in un unico gesto, una fede ed una ragione dal carattere invero trasfigurato; il che rende possibile al logos di ‘vedere’ il Logos attualmente e senza ombra di dubbio, dopo essersi posti al Suo ‘ascolto’ grazie ad un atto di posizionamento ‘in conformità’ con Lui. L’attività gnoseologica svolta dal logos rimane dunque di pura e subordinata ‘disponibilità’ alla ricezione del Logos, salvandosi così da una presunta deriva gnosticistica – quella che vorrebbe ridurre il contenuto della fede alla verità della naturalis ratio – per attuare, al contrario, una vera e propria ‘fede pensata’, ossia una fede che, secondo l’intellectus, è conforme con il Logos: insomma una gnosi autentica13! Ciò che caratterizza quest’ultima è dunque un approccio non di tipo ‘dianoetico-discorsivo-riflesso’, ma piuttosto ‘intuitivo-diretto’, il quale è cioè più prossimo al carattere dell’intellectus tomistico. Permettere alla ragione così trasfigurata di verificare l’apparire delle verità di fede come realmente evidenti ed incontrovertibili è esattamente quanto abbiamo avuto modo di mostrare come possibile nelle varie occasioni in cui, dicevamo, ci siamo già occupati della Gematria14. Ed è altresì quanto ci accingiamo a fare presentemente a proposito della Regalitas, intesa quale componente eminentemente sacrale della Ecclesia Cattolica.
La Gematria, scienza sia speculativa che pratica, non è altro che la comprensione interpretativa dei significati anagogici presenti nelle Sacre Scritture della tradizione cristiana, realizzata sulla base della consapevolezza dottrinale di una corrispondenza sussistente tra numeri e lettere alfabetiche della lingua che di tale tradizione religiosa è riconosciuta come sacra. Nel caso specifico del Cristianesimo, la lingua che riveste tale funzione ‘sacrale’ è certamente il Greco antico. Questa nostra affermazione potrebbe forse lasciare stupiti, ma le ragioni di quanto affermiamo sono profonde. Innanzitutto va precisato che l’accezione di ‘lingua sacra’, nel caso del Cristianesimo, denota la capacità della lingua greca di contenere in maniera latente l’espressione del Mistero cristiano concernente i suoi fondamentali dogmi, nonché quei suoi aspetti teologici e metafisici che costituiscono le verità di Fede anche nel loro aspetto più profondo15. Non è del resto un caso che non solo tutto il Nuovo Testamento sia stato scritto proprio in ‘greco’, ma anche, ed in particolar modo, che specificatamente in tale lingua si sia rivelata l’Apocalisse di Giovanni: l’unico libro profetico presente nel canone neotestamentario e l’unico del quale sia affermato esplicitamente di esser stato ‘inviato dall’Alto’16. Nel concreto del suo utilizzo, la Gematria considera ogni parola come fornita di un valore numerico totale, ottenuto in base alla somma dei valori numerici posseduti dalle sue singole lettere alfabetiche. Tale valore rispecchia in sé una qualità piuttosto che una quantità, la quale può essere colta sostanzialmente sia sulla base delle relazioni con cui tali valori numerici vengono a porsi nei rispetti di altri valori numerici ad essi rapportati, sia sulle relazioni che si stabiliscono all’interno di sé stessi nella successione con cui si presentano i numeri che li costituiscono, sia sul valore simbolico di ognuno di questi suoi singoli numeri, sia infine pure sul geroglifico della propria cifra. Inoltre, la Gematria insegna che, a parità di valore numerico totale – evenienza alla quale viene dato il nome di isopsefia – due o più parole diverse si equivalgono anche nel proprio valore e senso qualitativo, simbolico e spirituale17. La Gematria, beninteso, non è affatto un tardo e magari soggettivo approccio all’interpretazione dei testi sacri; tant’é che proprio nel libro dell’Apocalisse compaiono allusioni esplicite che confortano la liceità dell’impiego di questo approccio ermeneutico. Tra questi riferimenti ricordiamo in particolare: 1) l’invito a calcolare gematricamente il numero del nome della bestia (Ap13,18); 2) la ripetuta auto rivelazione del Logos, che più volte si definisce essere l’‘Alpha e Omega’ (Ap1,8. 21,6. 22,13). Quest’ultima evenienza assume una valenza decisiva in quanto è possibile leggervi la chiara e diretta dichiarazione del Logos di essersi, in certo qual modo, spiritualmente ‘incarnato’ anche nell’alfabeto greco; e ciò proprio in virtù della Sua peculiare natura di Pensiero e Parola.
1 A questo proposito vale tutta la differenza che, in ambito scientifico o artistico o gnoseologico, concerne ciò che è ‘religioso’ e ciò che è invece più propriamente ‘sacro’. In maniera molto sintetica si può dire che se al primo ambito appartiene tutto ciò che si presenta come pura e semplice trattazione di ‘argomenti spirituali’, al secondo invece fa capo tutto ciò che riflette la propria verità spirituale oltre che con i contenuti anche, e soprattutto, nelle proprie forme. E’ peraltro per questa ragione che tali forme non possono non assumere, ontologicamente, che lo stato di ‘simbolo’.
2“Solo questa conoscenza della Persona che è la Verità, è la ‘vera gnosi’, l’espressione greca che sta per
‘conoscenza’, per ‘intelligenza’. È l’edificio costruito dalla ragione sotto impulso di un principio soprannaturale. La
fede stessa costruisce la vera filosofia, cioè la vera conversione nel cammino da prendere nella vita. Quindi
l’autentica ‘gnosi’ è uno sviluppo della fede, suscitato da Gesù Cristo nell’anima unita a Lui”, Benedetto XVI,
Udienza Generale del 18/4/2007.
3 Cfr. Clemente Alessandrino, Stromateis III, 5, 44, 3: ‘La gnosi, noi affermiamo, non è parola pura e semplice, ma una sorta di scienza divina’,
4 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et Ratio, AAS 91 (1999).
5 ‘Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»’.
6 Nel sost. συνεσις sono contenuti i significati di ‘intelligenza, intelletto, sapienza, scienza’ ed anche di ‘punto di
unione’.
7 Pv 2,2.5.6.
8 Sir 6,33.
9 1Cor 1,10.
10Clemente Alessandrino, Stromata V, 1 2.1.
11 Cfr. Mt 18,20 e 28,20; Lc 17,21 e 22,27; Gv 1,14 e 1,26.
12 Un passo fra gli altri, peraltro significativo nel denotare il rapporto tra ‘ascolto’ ed ‘omologhia’, è 1Tm 6,12: ‘Cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede’.
13 Il termine γνωσις oltre che ‘scienza, saggezza’, emblematicamente significa anche ‘amicizia, relazione intima, riconoscimento’.
14 Cfr. supra nota 1.
15 La ‘lingua sacra’ non sempre coincide con quella che è la ‘lingua liturgica’ di una data religione. Per il Cristianesimo, infatti, è il latino ad assolvere a quest’ultima funzione.
16 La natura rivelata dell’Apocalisse è esplicitamente dichiarata dal Logos stesso a conclusione del libro di cui non deve essere mutata alcuna parola: “A chiunque ascolta le parole della profezia di questo libro io dichiaro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e se qualcuno toglierà qualcosa dalle parole di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro” (Ap 22, 18-19).
17 Tanto per fare qualche esempio: la parola ‘pneuma’, che significa ‘Spirito’, allorché scritta in greco possiede lo stesso valore gematrico di ‘aetos’, che significa ‘aquila’; e ben conosciamo l’equivalenza simbologica dei due termini. Oppure la parola greca ‘yios’, che significa ‘figlio’, ha il medesimo valore di ‘zygos’, che traduce ‘bilancia’; e qui si allude alla seconda persona della SS. Trinità nell’accezione de ‘il Giusto’! E così via!