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‘Il segreto del potere di Putin’: a proposito di una riflessione di Nicolai Lilin (di Cosmo Intini)

 

L’argomento

Obiettivo di questo nostro scritto è quello di segnalare, e contestualmente rendere fruibile in maniera più immediata, un’interessante riflessione di Nicolai Lilin (1980, Trasnistria, ex Moldavia): noto scrittore di origini russe e naturalizzato italiano, il quale altresì svolge un’intensa attività di divulgazione di carattere geopolitico, soprattutto attraverso il proprio canale Telegram ed altri social, nonché su You Tube.

Si tratta, nella fattispecie, di un’analisi che l’Autore elabora in un video postato il 10 febbraio scorso (a. D. 2025) appunto sulla piattaforma You Tube (https://www.youtube.com/watch?v=baLYbaU-CYc), a riguardo dei motivi che sarebbero alla base del successo politico di Vladimir Putin, ovvero, più specificatamente, dei valori che fonderebbero il suo potere. Ne presentiamo qui una sintesi ed un nostro commento.

Il ritenere da parte nostra condivisibili i contenuti di tale suo intervento non vuole prendere le mosse semplicemente da un’emozionale simpatia per il personaggio Lilin (verso il quale sentiamo effettivamente di nutrire attenzione, sintonia e stima), quanto piuttosto dalla valutazione meditata di quelle implicazioni di cui essi contenuti si fanno chiaramente veicolo, dacché si pongono sulla medesima linea di ciò che è propugnato ‘meta-politicamente’ anche dal nostro Sodalizio cavalleresco.

La sintesi

Va innanzitutto detto che l’approccio mantenuto da Lilin vuole esplicitamente affrontare il discorso secondo prospettive ‘sociologiche’: il che già dona alla questione una dimensione alquanto originale e, proprio per questo, più stimolante.

Il primo aspetto su cui egli si sofferma riguarda il fatto che, molto spesso, i detrattori della Russia obiettano come l’indiscutibile popolarità della politica di Putin, in patria, non sia altro che lo scontato frutto della sua posizione forzosamente predominante, ‘dittatoriale’. Tuttavia tale giudizio, sempre secondo l’Autore, risulta fuorviante dal momento che il Presidente russo dovrebbe più giustamente essere considerato un ‘politico autoritario’.

Seppur non approfondendo le differenze terminologiche, è chiaro che qui Lilin stia riferendosi alla medesima distinzione, già pronunciata nella dottrina politica aristotelica, tra ‘tirannia’ e ‘monarchia’; per la qual cosa, seppur entrambe riconducibili alla tipologia del ‘governo di un singolo’, la prima forma si esprime secondo un carattere negativo: in quanto esercitata per scopi personali, privati, particolaristici; mentre la seconda mantiene una valenza positiva: in quanto il potere monocratico, in questo caso, rimane pur sempre finalizzato all’interesse comune.

Oltretutto, la dittatura è soggetta ad un naturale ‘tempo di esaurimento’, dovuto al fatto che la repressione delle libertà determina, in coloro che la subiscono, una tensione che prima o poi non può che degenerare ed esplodere nella violenza.

Ebbene, tutto ciò non trova alcun riscontro nella situazione in oggetto, la quale non solo vede Putin come impegnato con successo nella rinascita politico-economico-sociale della Russia, dopo la rovinosa caduta dell’Unione Sovietica; ma oltre a questo, egli risulta ancora benvoluto e sostenuto dalla maggior parte dei suoi cittadini, dopo ben 25 anni di presidenza.

A tal proposito, Lilin cita addirittura i risultati di alcune ricerche sociologiche canadesi, dai cui rating emergerebbe che i leader politici più sostenuti dai propri popoli sarebbero, in maniera paradossale, proprio quelli collocati al di fuori del sedicente ‘sistema democratico’ occidentale. E tra questi figurerebbe per l’appunto anche la Russia, accanto all’India e ad altri paesi.

Ma la confusione tra ‘tirannia e monarchia’ non rappresenta l’unico errore terminologico e concettuale ad essere preso in considerazione da Lilin.

Un’ulteriore malevola obiezione, tesa a spiegare il potere di Putin come se fosse il puro frutto di un’imposizione, si fonda infatti sul luogo comune secondo cui la Russia sarebbe soggetta ad un potentato di ‘oligarchi’, di cui il Presidente costituirebbe ovviamente il vertice.

L’Autore qui spiega che, ancora una volta, l’ignoranza e la malafede di alcuni occidentali confonde i termini, applicandoli impropriamente. A giustificazione di ciò egli cita Platone, il quale ha insegnato che ‘oligarca’ è ‘colui che applica il proprio potere economico nella politica’; egli non è dunque da intendersi, semplicisticamente, solo come un detentore di enormi ricchezze.

Seppure in Russia esistano, effettivamente, numerose personalità molto ricche, tuttavia esse non costituiscono propriamente un’oligarchia, in quanto l’impostazione data da Putin alla propria visione politica, sin dall’inizio della sua carriera, è di carattere decisamente e univocamente ‘statalista’ e non già privatistico.

Evidentemente, se il potere di Putin, soprattutto negli ultimi anni, sta procedendo secondo una continua traiettoria ascendente – nonostante le numerose sanzioni economiche comminate recentemente dall’Occidente alla Russia e nonostante gli enormi costi legati al mantenimento dell’Operazione Militare Speciale in Ucraina – alla base di ciò devono allora esservi ben altri motivi, che non quelli usualmente addotti dai suoi detrattori.

Per arrivare a delinearli, Lilin propone intanto un parallelo con quanto avvenuto nell’Unione Sovietica all’epoca di Stalin, allorché quest’ultimo concentrò i propri particolari sforzi nell’istruire tutta una generazione di ‘funzionari statali’, tramite scuole e corsi speciali, così applicando e realizzando il noto modo di dire russo: “gli incaricati devono decidere tutto”.

In certo qual modo, quello che sta avvenendo attualmente in Russia mantiene delle analogie con quella ‘filosofia’, quel ‘modo di procedere’, dacché Putin ha compreso che, per gestire al meglio lo Stato, un ‘capo’ deve essere coadiuvato da numerosi ‘funzionari’ responsabili: solerti nel compiere ognuno il proprio dovere entro l’ambito assegnatogli, nonché patriotticamente votati al bene comune.

E incidentalmente noi ci permettiamo qui di osservare, in maniera del tutto personale, che tale principio è una analogica riproposizione, in ambito ‘temporale’, della struttura ‘spirituale’ della Chiesa di Cristo: costituita come essa è da un ‘Capo’ e dalle proprie ‘membra’, la cui vitalità si esprime sulla base delle proprie ‘reciprocità’.

Comunque sia, alla luce della più volte affermata propria fede cristiano-ortodossa, potrebbe sembrar strana e contraddittoria la suddetta posizione di Lilin, allorché egli venga cioè a ritrovare nello ‘stalinismo’ un qualche modello positivo. Ci sembra pertanto opportuno segnalare la significativa precisazione che l’Autore stesso introduce nel merito, da cui si evince quanto sia in verità complessa la realtà russa e soprattutto quanto essa possa rimanere incomprensibile per coloro che la guardino con superficialità e prevenzione ideologica.

Per rispondere alle possibili facili obiezioni, Lilin cita infatti un episodio che testimonia quanto Stalin abbia ambivalentemente posseduto, accanto ad un esemplare e forte sentimento di appartenenza allo Stato e all’Impero socialista, anche una certa dose di spiritualità (da giovane, era stato persino in seminario); la qual cosa getterebbe una luce sorprendente sulla sua personalità, mitigando le ombre di cui si sarebbe coperto a causa dell’eccessiva ‘fermezza autoritaria’ con cui si liberò delle opposizioni politiche o con cui affermò l’ateismo quale ideologia di Stato da sostituirsi alla religione.

In pratica, si tratta della sua iniziativa – presa nel 1941 allorché l’esercito tedesco era ormai a due passi da Mosca e tutto sembrava volgere oramai a sfavore della Russia – di far sorvolare la capitale, giorno e notte, da un aereo che aveva a bordo la miracolosa e tradizionalmente veneratissima icona della ‘Madre di Dio di Kazan’. Ebbene, gli esiti della guerra sono ben noti!

Per arrivare finalmente al nucleo dell’argomento, Lilin afferma che il ‘segreto’ del potere di Putin non consiste in nient’altro se non nel fatto che egli è stato in grado di realizzare quello che in sociologia viene delineato come ‘l’8% della società, composto da personalità modali’.

Con tale termine tecnico si intende, in sociologia, “quel tipo di personalità che si incontra con maggiore frequenza all’interno di un dato sistema sociale, entro una certa cultura o in una certa epoca”.

Secondo gli studi sociologici, di cui la Russia vanta una grande tradizione, la società riesce a progredire, a difendersi, a portare avanti la propria identità culturale-sociale-economica-politica solo quando almeno l’8% di essa (o più) sia composta, appunto, di ‘personalità modali’.

A differenza della ‘personalità di base’, con cui si indica la persona allorché colta nelle proprie caratteristiche individuali, la ‘personalità modale’ designa invece, propriamente, coloro che rappresentano l’intera comunità, l’intera società dal punto di vista morale, educativo, culturale. Solitamente essi sono coloro che si identificano con il popolo, con il Paese; sono i patrioti, ossia quanti sono pronti a morire per la propria ‘casa’: intendendo tale termine nel senso lato di ‘appartenenza’.

Quando in una società domina invece la ‘personalità di base’, essa società è destinata al declino, alla scomparsa, perché non sarà in grado di autodifendersi.

Il merito di Putin, il che costituisce poi il vero e proprio ‘segreto’ della sua forza, è stato allora quello di aver lavorato profondamente sul sistema di istruzione della Federazione Russa, difendendolo dai perniciosi influssi dei moderni modelli occidentali. Sin dal suo arrivo al vertice della scena politica, nel 1999, egli si è preoccupato di allevare le nuove generazioni secondo i principi e i valori che una volta aveva adottato anche l’Unione Sovietica, prima del suo finale declino: ossia il rispetto del proprio Paese, il patriottismo, il senso del sacrificio, l’orgoglio per il servizio prestato alla propria società.

Alla luce di tutto ciò, ci si spiega come mai la Russia stia predominando sull’Ucraina nell’Operazione Militare Speciale: i soldati russi combattono, infatti, per un’idea tradizionale e non per denaro; molto spesso essi sono addirittura ‘volontari’, a differenza di quanto succede per gli ucraini, i quali sono sempre più obbligati ad andare al fronte con costrizione violenta, venendo addirittura catturati per strada.

La forza di Putin, secondo l’Autore, è insomma l’aver compreso questo semplice dato sociologico: è utile e necessario investire nelle ‘personalità modali’, in giovani che si riconoscano con la struttura dello Stato, con la comunità, con tutto il Paese, per poter difendere ciò che appartiene a tutti e sopravvivere altresì nelle internazionali sfide geopolitiche a cui la propria patria è chiamata. L’esatto opposto, insomma, del malato individualismo a cui l’Occidente si è votato ed a causa del quale esso è destinato ad implodere.

Giungendo alle conclusioni della sua analisi, Lilin ha il tempo di proporre altresì una riflessione di carattere più personale, ma che in effetti riguarda anche tutti noi, in quanto italiani.

Prima di essere costretto a lasciare l’Italia – per motivi che non stiamo qui a commentare – egli viveva e lavorava a Milano. Spesso, mentre guardava il Duomo, meditava sul fatto che tutta la gente comune, passeggiando distrattamente attorno ad esso o passandovi accanto frettolosamente, in realtà mostrava di non aver più nulla a che fare con quei propri avi i quali avevano progettato e faticosamente costruito tale meraviglioso edificio. Il Duomo è stato il frutto, insomma, di un sacrificio, a cui qualcuno si è sottoposto per offrire alla propria comunità, con un gesto d’amore, qualcosa di bello e importante. Ciò stride affatto con quanto noi italiani, come del resto tutti gli occidentali in generale, teniamo oggi in maggior conto: ovvero l’individualismo sfrenato, la mancanza di senso della radice, dell’identità, della comunione e della tradizione.

Secondo Lilin, pur apparentemente lontani fra loro, lo spirito di volontà di quanti costruirono il Duomo può essere accostato e ritenuto simile allo spirito di tutti quei russi che, senza ritrosie, hanno sempre convintamente offerto la propria vita per il proprio mondo, per la propria comunità, per la propria collettività.

Tutti i giovani russi, che Putin ha ritenuto giusto di educare instillando in essi il forte senso di appartenenza alla propria società, sono e saranno sempre coloro che faranno ‘funzionare’ la Russia: essi saranno, appunto, i ‘funzionari’.

E quando Putin non ci sarà più, ciò non significherà la fine della Russia, poiché ci sarà ogni volta un nuovo ‘capo’ che rappresenterà l’intera comunità delle ‘personalità modali’.

Il commento

Come abbiamo già avuto modo di anticipare, le riflessioni di Nicolai Lilin evocano la sussistenza di numerose affinità con quelle che sono le convinzioni del Sodalizio, in merito all’importanza dei principi ‘metapolitici’.

Nelle nostre pubblicazioni librarie, negli articoli su riviste o su siti on line, durante le attività di formazione svolte in presenza, la tematica dell’Imperium stabilisce sempre per noi, infatti, le linee guida da cui non è possibile prescindere, per anche solo supporre la possibilità attuativa di un minimo di ‘Giustizia e Pace’ nell’ambito geopolitico.

Non riconoscendo all’odierna politica occidentale alcuna autorevolezza e verità, di qualunque schieramento o posizione ideologica si tratti, dacché tutti improntati ad un diritto positivo che ha sempre più rinnegato lo ius naturalis, ad un laicismo che ha sempre più sovvertito la sacralità della Auctoritas, ad un democraticismo che ha sempre più abiurato la Regalitas sociale di Cristo Gesù; ebbene, solo il recupero dell’archetipo ‘metapolitico’ dell’Imperium può ‘giustificare’ (nel senso etimologico proprio del ‘rendere giusto, puro, legittimo’) l’attuabilità della praxis ‘politica’.

In altre parole, essendo essa finalizzata al mantenimento dell’‘ordine sociale’ tra le creature umane, per risultare efficace deve di necessità esplicarsi in maniera ‘conforme’ con l’Ordine del Creato.

Proprio alla luce di ciò, quello che ci convince dell’analisi di Lilin è dunque il risalto da lui dato a concetti quali quelli di ‘tradizione’, di ‘gerarchia’, di ‘distributività’, di ‘comunione’, di ‘disciplina interiore ed esteriore’, opportunamente sottolineando la posizione di fondamento che essi occupano all’interno della concezione appunto politica di Putin.

Non insisteremo sulle già note questioni relative alla Russia in quanto ‘Terza Roma’, quale ‘Impero eurasiatico’ da cui, così come persino profetizzato da alcuni santi uomini, presto si diffonderà una nuova luce di cristiana rinascita spirituale, che riempirà il vuoto e oscuro tramonto geopolitico di un Occidente sempre più anticristico e sempre più in sfacelo.

Ricordiamo soltanto che quando noi europei dell’Ovest saremo chiamati a ricostruire, sulle macerie lasciateci dall’UE, una vera Europa, nuova e antica allo stesso tempo, nonché fiera della propria peculiare identità romano-cristiana e dei propri valori imperiali così come trasmessici dai nostri padri; ebbene, tutto ciò che i fratelli europei dell’Est avranno già avuto modo di rielaborare, lungo il faticoso cammino verso il recupero della loro propria originale ‘essenza’ di popolo, potrà solo che donarci un prezioso esempio su cui meditare e da cui trarre indicazioni, per poter poi con essi fratelli sinergicamente confrontarci, in quanto ritornati ad essere anche noi un popolo di ‘personalità modali’ rinnovati nella sacra Tradizione imperiale del Cristo.

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Idee&Azione (25.02.2025)