Tȟatȟáŋka Íyotake o Toro Seduto,
foto del 1885 di David Francis Barry (1854–1934)
“Per noi i guerrieri non sono quello che voi intendete. Il guerriero non è chi combatte, perché nessuno ha il diritto di prendersi la vita di un altro. Il guerriero per noi è chi sacrifica sé stesso per il bene degli altri. È suo compito occuparsi degli anziani, degli indifesi, di chi non può provvedere a sé stesso e soprattutto dei bambini, il futuro dell’umanità”.
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Quale migliore descrizione per caratterizzare l’identità del Cavaliere. Egli non è un guerrafondaio, ma nemmeno un irenista: è qualcosa di molto oltre e molto di più.
Del resto, questa frase pronunciata dal noto capo Sioux Hunkpapa è la prova di quanto sia legittimo ed opportuno considerare la Cavalleria un archetipo: un qualcosa, cioè, che attiene al metafisico, al metastorico.
Quando infatti ritroviamo anche nella concezione dei Nativi di America quel che nel medioevo europeo cavalleresco veniva definita come la carità delle armi, non possiamo non avvertire con maggior forza la certezza dell’altissimo, universale e perenne valore etico che l’azione cavalleresca veicola, proprio al di là di spazi e tempi.
Contro chi ne afferma il contrario, esiste una ‘guerra giusta’; ed è quella che si combatte come un ‘sacrificio’ che tenda a ripristinare la ‘Giustizia’: la quale è poi veramente tale solo quando miri alla vera Pace.
Emblematico è che i Nativi di America siano gli unici che, a pieno titolo, possono essere considerati il vero ‘popolo americano’. Gli invasori che ne hanno spazzato con la violenza e l’inganno la grande civiltà e cultura, occupando le loro terre e impossessandosi dei loro diritti, sono proprio gli stessi che hanno oggi ridotto la guerra a strumento mondiale di sopraffazione fisica e di forzosa sostituzione dei più puri, alti e sani valori tradizionali.
Ma emblematica è altresì la presente foto del ‘guerriero’ Tȟatȟáŋka Íyotake, conosciuto dai più come Toro Seduto – di cui è risaputa la grande saggezza, oltre che il grande valore guerriero – la quale lo ritrae con un crocifisso al collo che gli fu donato da un missionario gesuita, peraltro poi divenuto suo grande amico: il padre Pierre-Jean De Smet (1801 – 1873).
Pur non risultando confermata una sua completa ‘conversione cristiana’ attraverso il ricevimento del sacramento del battesimo, è per noi significativo che Tȟatȟáŋka Íyotake abbia accettato perlomeno di indossare il crocifisso e di averlo mantenuto con sè, ben in vista, anche ben oltre dopo la morte dell’amico donatore.
Vogliamo sperare che Cristo-Logos, il Re dei Re (Colui che in Ap 19,11-16 giunge su di un cavallo bianco, con una ‘spada affilata’ fuoriuscente dalla bocca), nella immensa Sua Misericordia abbia alla fine riconosciuto Toro Seduto come ‘uno dei Suoi’ giusti guerrieri.
(La Redazione)