Cattedrale di Chartres
L’integrità della persona umana e l’unità dei cristiani nella Chiesa cattolica non sono che due aspetti di una medesima realtà. Come abbiamo visto l’uomo si ordina nelle arti, cioè nelle articolazioni dell’unità del Corpo mistico, nella misura che ritrova il suo senso di integrità interiore e quindi di libertà.
L’unità si realizza in Cristo, nel Verbo che è centro della persona e della società universale. Contemplare significa appunto muovere verso la identificazione con il centro per riconoscere in quello l’unica vera realtà dell’essere, il principio di ogni esistenza e il fine ultimo di tutto il creato. Ogni cristiano nell’ordine della Cattedrale è una pietra, e Cristo è al tempo medesimo la pietra d’angolo e la roccia su cui la casa (duomo viene da domus) ha da essere prudentemente costruita. Nella Cattedrale tutto il lavoro e tutta l’arte dell’uomo si protende verso il bello, e nel bello l’utile è assolto da ogni necessità; tutta l’arte dell’uomo si protende verso il cielo, e per le guglie, verso il cielo, protende la forza delle fondamenta. La Cattedrale è la «teoria» delle genti al modo stesso che theồris è la nave degli ambasciatori di Dio, dei santi che procedono verso la perfezione come le navate procedono verso l’altare.
Nella fabbrica della Cattedrale la pratica s’è fatta veramente teoria di simboli nel rosone, nelle mandorle, negli archi, nella pianta a forma di croce, nei pilastri su cui l’arco poggia e grava per alzarsi poi leggero. E come l’arco s’alza verso il soffitto, così l’arcobaleno della prima alleanza, leggerissimo verso il cielo, grava tuttavia sulle spalle di potenti profeti e di santi, di eremiti forti e fermi alla Grazia: uomini distaccati dal mondo come il pilastro o la colonna dalle pareti, ma sostenenti nella loro preghiera tutta la fabbrica umana che può volgersi al cielo per la verticalità della loro purezza.
Nella forma della Cattedrale che si leva in alto v’è un impegno, un senso di lotta; ma non è la sfida di Babele o di Satana, bensì la lotta di Giacobbe con l’uomo di Dio; lotta d’una forza che vuol popolare ed ereditare la terra per conquistarla al cielo; lotta fiduciosa in un Dio che di muscoli e forza umana ha preso corpo nel mondo. La Cattedrale è parola, anzi è libro aperto, testo e tessuto; infatti la Chiesa è squarcio del velo del tempio, ché il verbo detto in casa sia gridato sui tetti. La Cattedrale è linguaggio della parola interiore che edifica città redente, e, per la Cattedrale, ogni tetto ascolta e riverbera la Parola di Luce.
Parla all’uomo semplice con la vastità delle navate echeggianti, e al sentimento con le reliquie e le immagini; parla all’uomo colto con la storia, col simbolismo e con gli arcani più sapienti. Tutto è dunque rito nel tempio, rito nel significato più profondo della parola che, dal sanscrito ritâ significa ordine. La Cattedrale è un ordine di pietra su una pietra angolare; e in quell’ordine sono ordinati i chierici, i sacerdoti, i vescovi, e, in tempi migliori, i sovrani e i cavalieri. Alla luce di questo ordine si subordina la materia alla forma. La forma del sacramento infatti è la parola pronunciata dal ministro, e alla parola consacrante tende la fabbrica della Cattedrale sin dal primo giorno di lavoro. Ed è Cattedrale non in virtù dell’arte, ma della consacrazione stessa. Anzi, proprio in virtù dei sette Sacramenti, a rinnovare la parola umana nella Parola di Dio, il lavoro, il labor faticoso, può farsi arte, e cioè vittoria dello spirito a ordinare la materia.
L’uomo è padrone dell’universo perché lo redime, lo redime in quanto assume l’utilità in bellezza e il lavoro in arte e in contemplazione. Tutta la vita dunque è rito a ordinare la materia alla forma, il lavoro alla contemplazione e al cantico di lode e di gioia. Non può darsi azione senza rito come non può darsi materia senza forma alcuna; la vita umana e dell’universo intero è chiamata alla Messa e a questa tende con tutta la forza del cosmo. Senza rito ogni nostro lavoro cadrebbe nel nulla e noi stessi cesseremmo di esistere; e se il lavoro e l’esistenza hanno troppe volte sapore di maledizione è appunto perché la volontà e la consapevolezza dell’uomo non aderiscono al sacrificio, e il suo cuore è rivolto alla materia, al disordine del caos anziché al rito ordinatore del cosmo. Il Creatore, nella sua infinita bontà e misericordia, dà forma al lavoro anche nolente l’uomo, ma la frattura tra volontà divina e volere umano è degenerazione della libertà in schiavitù di ignoranza. Col venir meno del senso del rito viene meno ogni senso vero dell’arte; e la realtà perde ai nostri occhi il suo agile stendersi d’amore gioioso per stridere e scattare in un mondo tutto meccanico in cui l’uomo stesso non è che strumento inconsapevole.
Il compito del sacerdote cristiano è compito di pontifex secondo Melqitsedek, e cioè di sacerdote dell’Eucarestia, di facitore del ponte tra l’uomo e Dio, tra il mondo esterno e il centro, «affinché tutti siano uno» e dell’umanità e divinità di Cristo viva tutto l’universo. L’ostia consacrata è seme divino; Cristo viene in noi per germogliare in contemplazione e redenzione. Donandosi a noi il Verbo vuole proclamarsi centro intorno a cui riordinare la realtà esteriore ed interiore perché tutto il creato ci parli di Dio e per noi a Dio risponda.
Il lavoro faticoso sotto lo stimolo del bisogno è condanna pronunciata all’uscita dall’Eden, è legge che grava sull’uomo; e la Cattedrale costruita alla misura del filo a piombo e della livella è legge di croce nella resurrezione della parola alla bellezza e alla Verità.
Quando il lavoro si ordina all’unità, quando accetta il canone e ne fa bellezza, allora il linguaggio dello Spirito e la creatura, la Parola e l’opera d’arte, fanno tutt’uno, come la materia è una con la forma nell’essere creato da Dio. Allora l’arte è verità, e lascia trasparire la Verità consacrante la Cattedrale cioè la Buona Novella; e se la legge è condanna, la Verità ci farà liberi.
Attilio Mordini
(tratto da Verità del linguaggio, Ed. Volpe, Roma 1974)