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Il multipolarismo di Federico II Imperatore: in una ricorrenza significativa (di Cosmo Intini).

Federico II incontra il sultano al-Kamil, dalla Cronaca del Villani (miniatura, Biblioteca Vaticana, Roma)

Proprio oggi, 18 marzo 2023, ricade il 794mo dall’incoronazione dell’Imperatore Federico II di Svevia a Re di Gerusalemme, avvenuta nell’anno 1229. Un evento che, col passare del tempo, non solo pare aver sempre più rinnovato la percezione di una propria stupefacente eccezionalità di carattere meramente storico, ma che pure manifesta esplicitamente una certa qual sua adesione a contingenze metastoriche; le quali, appunto per ciò, mantengono “inevitabilmente” vivi i suoi valori ontologici con un’inalterata estrema attualità.

I fatti storici

Sin dal settembre del 1226, attraverso una serie di ambascerie, erano cominciati ad intercorrere rapporti diplomatici tra l’Imperatore ed il sultano d’Egitto Malik-al-Kamil, il quale auspicava di ottenere un’alleanza col sovrano cristiano, nel conflitto che lo vedeva impegnato contro il fratello al-Muazzam, sultano di Damasco.

Dopo i primi contatti, che erano stati facilitati da un tale Riccardo, musulmano convertitosi al cristianesimo nonché camerlengo presso la corte di Federico II, nei due anni successivi erano proseguiti diversi scambi di reciproci omaggi, i quali avevano condotto lo Svevo ad entrare in immediata simpatia e stretta intimità con l’emiro Fahr ad-Din, che fungeva da intermediario del sultano.

Nel novembre del 1227, essendo nel frattempo morto il fratello con cui al-Kamil era in antagonismo, quest’ultimo poteva spartirsi con un altro suo fratello le terre del defunto; e così, mentre poneva Damasco in assedio, invadeva la Palestina e conquistava Gerusalemme.

Intanto, durante il precedente settembre, Federico II aveva patito la scomunica da parte del Papa Gregorio IX: invero più per motivi meramente politici che dottrinali. Il Pontefice, infatti, accusava l’Imperatore di non aver adempiuto al giuramento di portare a compimento, quanto prima, una nuova crociata.

In realtà, il ritardo nell’attuare i propositi, già espressi più e più volte, derivava all’Imperatore da contingenze oggettive: ultima, la diffusione di un’epidemia di peste che aveva iniziato a diffondersi tra le truppe crociate, proprio in concomitanza della loro partenza da Brindisi che doveva avvenire alla fine di agosto, sempre di quel 1227.

Verrebbe da pensare, insomma, che i motivi degli indugi non dovevano essere di certo imputabili ad una negligenza di Federico II, ma che semmai risiedevano piuttosto in altre diverse ragioni; le quali, oltretutto, non dovevano essere nemmeno tanto gradite al Pontefice, se le stesse furono in grado di scatenare quelle sue reazioni punitive, invero esagerate ed oltraggiose. Ma ritorneremo più avanti su questo.

Dopo un ulteriore lungo soggiorno dell’emiro Fahr ad-Din alla corte imperiale, a Foggia, avvenuta nel corso di febbraio del 1228 – durante il quale la simpatia tra i due uomini, legati da molteplici interessi culturali e specialmente filosofico-scientifici, si rinsaldò in una forte e durevole amicizia (fu in quell’occasione che Federico II onorò l’amico dell’Investitura cavalleresca) – finalmente, alla fine del successivo mese di giugno l’esercito salpava da Brindisi per la sesta crociata: quella che fu definita la “Crociata degli scomunicati”. E andrebbe notata tutta la paradossalità della situazione secondo cui, mentre l’Imperatore ed i suoi partivano per la conquista del Santo Sepolcro, i cristiani “ortodossi” rimanevano invece comodamente a casa.

Sbarcato a settembre in Terra Santa, Federico II cominciò immediatamente ad intrattenere una serie di lunghe trattative con al-Kamil, miranti ad una eventuale consegna di Gerusalemme.

Inizialmente il sultano, dopo la morte di suo fratello, signore di Damasco, non sembrava più interessato ad alcuna alleanza, né a qualunque altro impegno diplomatico da mantenersi con l’Imperatore. Tuttavia, esasperato per il non esser ancora riuscito a conquistare proprio la stessa Damasco, che pur già da lungo tempo egli stava assediando, alla fine cedeva alle richieste dello Svevo. In tal modo, con il trattato di Giaffa del febbraio 1229, egli gli consegnava la Città Santa di Gerusalemme.

«Federico aveva riconquistato il Santo Sepolcro senza spargere una goccia di sangue, ottenendo in poco tempo ciò che i suoi predecessori non avevano saputo conquistare con la forza delle armi in tanti anni. […] Il trattato era un capolavoro di diplomazia. Gerusalemme era ceduta col Santo Sepolcro, ma i Maomettani erano liberi di abitarvi e restavano in possesso delle loro zone, dove si trovavano le più importanti moschee; in più erano cedute all’Imperatore S. Giovanni d’Acri, Giaffa, Sidone, i territori di Nazareth e di Betlemme ed una strada lungo la costa per dare accesso ai pellegrini nei luoghi santi»[1].

Ottenuto tale successo, a Federico II non restava altro che entrare nella Città Santa, per autoincoronarsi nel Tempio del Santo Sepolcro quale Re di Gerusalemme. Era domenica 18 marzo del 1229.

Significati e conseguenze

La valenza di questo stupefacente evento è duplice e può essere così riassunta.

Da un lato, il titolo di Re di Gerusalemme permise all’Imperatore di perfezionare la propria sovranità, venendo lui infatti ad incarnare, oramai pienamente, quella funzione sacrale di typus Christi che così intimamente entrava a far parte della tradizionale ideologia imperiale e ghibellina. Dopo di lui, a nessun sovrano cristiano riuscì di portare a compimento una medesima impresa; tant’è che a ragione, e sulla scorta di quanto espresso anche da Dante, Federico II deve considerarsi quale l’apice massimo della figura del Sacro Romano Imperatore in quanto Vicarius Christi. In ogni caso, egli fu proprio l’ultimo ad essere incoronato secondo entrambe quelle che erano le più solenni prerogative: per mano diretta di un Pontefice e in S. Pietro, a Roma.

D’altro canto, la sua apertura intellettuale verso culture e religioni altre – e questo senza mai smarrire la propria profonda ortodossia cristiana, checché ne dicano gli ideologismi guelfi, a lui partigianamente contrari – ha dato modo di dimostrare quanto, ed in che termini, sia possibile porre a frutto una visione politica che oggi definiremmo genuinamente “multipolare”.

Nella “politica estera” egli non fu filo-musulmano ma nemmeno antislamico, mantenendo sempre un profondo equilibrio, pur nella sua spregiudicatezza rispetto ai canoni del tempo; il quale atteggiamento era oltremodo finalizzato, come si è visto, esclusivamente alle esigenze di un potere che traeva la propria legittimità da fondamenti sacrali e sacramentali eminentemente cristiani.

Nella sua pratica di governo “interna”, poi, pur presentandosi titolare di diversi diritti e istituzioni (Imperatore romano-germanico, Re di Germania, Re d’Italia, Re di Sicilia, sovrano formale del regno di Borgogna, sovrano eminente di quello di Cipro, Re di Gerusalemme), egli non applicò mai snaturanti processi uniformatori e generalizzatori, ma si operò sempre con flessibilità. E ciò, ad ogni modo, non solo mantenendo quella dovuta fermezza giuridica che derivava dalla sua responsabilità di legislatore, ma soprattutto alla luce di quella funzione “metapolitica” che indicava in lui l’esemplare rappresentazione della lex animata in terris: ossia della figura vicaria del Cristo in quanto Sol Iustitiae, Sole di Giustizia.

Proprio in virtù di tali esplicite adesioni ad archetipi e a principi metapolitico-metastorici, la storia si ritrova, oggi come sempre, in contingenze che paiono riproporre “inevitabilmente” – quando non addirittura “ineluttabilmente” – proprio il recupero di tali medesime formulazioni politiche sacralmente intese. E ciò, come opportuno antidoto contro l’incipiente implosione della civiltà europea e cristiana.

Del resto, fu proprio questo il senso che già intravide lo storico Franco Cardini in un articolo del 24 febbraio 2006, sul quotidiano l’Avvenire, che significativamente titolava: “Ci vorrebbe un altro Federico II”.

Preannunci macrocosmici dell’elezione a Re di Gerusalemme

L’opera architettonica che cattura in maniera più emblematica l’idea imperiale di Federico II è il suo famoso castello originariamente denominato Sancta Maria de Monte, ma oggi conosciuto più con il tardivo nome di Castel del Monte, il quale è sito in Puglia presso Andria.

Il manufatto rappresenta un unicum nella produzione castellare dell’Imperatore, oltre che un vero enigma. Infatti, sono pervenuti sino ad oggi solo pochi e non espliciti documenti su di esso, i quali non informano né sulla precisa data della sua edificazione, né tantomeno su quale dovesse essere il suo peculiare utilizzo: e ciò alla luce delle sue singolari caratteristiche architettoniche e geometriche, che denotano più chiari intenti simbolici, piuttosto che non la necessità di una fruizione del manufatto in chiave pratico-contingente.

La nostra convinzione è che esso non fosse altro che l’espressione simbolica “in pietra” della Regalitas federiciana, colta soprattutto nella propria funzione “mediatrice”; la quale funzione, secondo l’ideologia imperiale, è esattamente quella che il sovrano svolge tra Cielo e Terra.

Tuttavia, come è del resto nella natura propria di tutti i veri simboli – i quali, “essendo quello che esprimono” sono in certo qual modo “vivi” – la sua cifra “ontologica” non va apprezzata come semplicemente appartenente ad una dimensione puramente “statica”, ma va intesa in quanto “dinamicamente” inserita nel contesto tanto storico quanto geografico, in cui il castello si è venuto a manifestare.

Per comprendere pienamente ciò, non potendo in questa sede affidarci a troppo lunghi approfondimenti, intanto rinviamo a lavori pubblicati in altra sede[2]. Quello che invece ci preme qui mostrare, attraverso una adeguata lettura delle simbologie “in atto”, non solo è quanto sia possibile desumere pienamente da essi simboli alcune circostanze le quali, di solito, in assenza di documentazioni storiografiche sembrerebbero destinate a rimanere sconosciute. Ma oltretutto, è possibile pure verificare come proprio le stesse circostanze, chiaramente appartenenti ad una dimensione “macrocosmica”, manifestino un’eccezionale “organicità” con quella “microcosmica” che è relativa, appunto, alla figura ed all’operato di Federico II.

Abbiamo già accennato alla mancanza di documenti attestanti la data di nascita del castello.

Risale al 1240 la più antica testimonianza scritta, in cui venga menzionata Sancta Maria de Monte; ma l’attenta analisi del testo ha fatto propendere gli studiosi per una retrodatazione di quello che dovrebbe essere stato il vero e proprio anno della sua edificazione.

Ad ogni modo, se non c’è nulla che la storiografia possa fare per risalire ad un anno ben preciso di tale fondazione, invece l’approfondita riflessione sui significati simbolici principali del castello intanto può aiutare ad evincere, con una qualche certezza, almeno la data del giorno in cui essa sarebbe avvenuta.

Si tratta della circostanza per cui, nel Medioevo, ogni luogo sacro tradizionale stabiliva la propria collocazione spaziale orientando il proprio portale di ingresso (ovvero l’abside, nel caso delle chiese) esattamente rivolto verso il punto azimutale dell’orizzonte in cui il Sole sorgeva nel giorno del santo o della figura sacra a cui l’edificio stesso veniva intitolato. Inoltre, tale giorno non poteva che essere pure quello della posa della prima pietra. Il porsi microcosmicamente “in asse” con un evento astronomico, era infatti considerato il modo più opportuno per stabilire ritualmente un ontologico “ordinamento” del luogo con l’intero macrocosmo.

Avendo ricavato, tramite la consultazione delle odierne “effemeridi”, che il castello si orienta esattamente verso l’azimut del 6 marzo (ed anche del 7 ottobre, tenendo conto del ciclo solare discendente)[3], avvalendoci inoltre dell’ausilio di un software di astronomia – capace di fornire l’immagine del cielo alla latitudine, alla longitudine, nella data e nell’ora richiesti – abbiamo cercato in quale anno si possa essere verificato, proprio il 6 marzo, qualcosa di astronomicamente significativo.

Prima di procedere, tuttavia, abbiamo anche dovuto tener conto del ritardo patito dal calendario giuliano – allora ancora in vigore – rispetto all’odierno gregoriano. Agli inizi del XIII secolo il ritardo del primo sul secondo era di circa 8/9 giorni; pertanto, per verificare ciò che noi oggi intendiamo con 6 marzo abbiamo dovuto concentrarci sulla considerazione del 27 febbraio: data che, rispetto a quello, tardava appunto di tale lasso di giorni[4].

Ebbene, dopo alcuni tentativi, retrocedendo progressivamente dal 1240, siamo giunti al 27 febbraio dell’anno 1228[5].

Esattamente al sorgere del Sole di quel giorno (h. 6.25 locali), il cielo sul castello di Sancta Maria de Monte (SMDM) si presentava dunque così:

(EZCosmos Sky Plot – Copyright 1990 – Astrosoft inc.)

L’eccezionalità dell’evento (tale contingenza astronomica risulta in effetti alquanto rara) risiede nello straordinario, stretto allineamento con il Sole nascente di ben quattro pianeti. Nell’ordine: Giove, Mercurio, Venere e Saturno.

Significati simbolici

La simbologia inerente a tutto ciò è più che palese.

I due pianeti più interni, posti ai lati del Sole (Mercurio e Venere), non sono altro che quelli che danno vita al simbolismo dell’Ermafrodito (Ermes e Afrodite): ovvero, meglio, dell’Androgino primordiale (Gen 1,27).

Di tale simbolo parla Platone nel dialogo del Simposio (189, e) ed anche diversi Padri cristiani come Origene, Gregorio Nisseno, Massimo il Confessore, Giovanni Crisostomo, Scoto Eriugena.

Esso (che non va ovviamente inteso in senso puramente letterale, ossia strettamente sessuale) è forse il più pregnante per esprimere l’Unità primordiale che precede ontologicamente ogni polarizzazione e che l’uomo deve oltretutto escatologicamente anche recuperare, per potersi ricollocare in quell’Unità stessa.

Quindi esso rimanda all’unione degli opposti, nonché all’Uomo Universale, al Cristo: ad ogni figura umana, insomma, che incarni la funzione di unione tra Alto e Basso, tra Cielo e Terra. Nel pensiero del filosofo A. Dugin, esso esprime il Soggetto Radicale.

Da parte loro, i due pianeti più esterni (Giove e Saturno) sono innanzitutto i pianeti decani rispettivamente relativi, “guarda caso”, proprio agli stessi 6 marzo e 7 ottobre[6].

Emblematicamente, Giove (decano del 6 marzo) è il pianeta del SESTO cielo del Paradiso dantesco, mentre Saturno (decano del 7 ottobre) è il pianeta del SETTIMO cielo. Nella Commedia, il primo è il soggiorno dei principi saggi e giusti, ed è in esso che a Dante appare la figura dell’Aquila; il secondo è invece quello degli spiriti contemplanti, ed a Dante farà dono della visione della Scala Santa.

Il simbolismo è chiaro: solo attraverso la Giustizia (prerogativa del Principe, del Potere Regale e quindi dell’Impero) si può raggiungere i piedi della Scala Santa; mentre solo attraverso la Pace (prerogativa del Contemplativo, dell’Autorità Sacerdotale e quindi del Papato) si può salire fino alla cima di essa, conducendoci sino all’Empireo[7].

Ma la coppia Giove-Saturno può per certi versi rappresentare altresì una specificazione del medesimo simbolismo androgino di Mercurio-Venere.

Essi sono infatti interpretabili anche alla luce della loro rispettiva relazione di parentela figlio-padre.

Saturno, decaduto re dell’Età dell’Oro, viene soppiantato dal figlio Giove, che ne ripristina la funzione. Laddove il padre è detto “il grande malefico, simbolo di ogni sorta di ostacoli, arresti, carenze, sfortuna, impotenza, paralisi”, il figlio è invece “il grande benefattore, simbolo di equilibrio, autorità, ordine, stabilità nel progresso, legalità sociale, ricchezza, ottimismo, fiducia”.

Giove e Saturno costituiscono sì un’antinomia (apprezzabile, ad esempio, nell’uso che si fa di espressioni quali gioviale e saturnino), ma che comunque rimane tale solo sino ad un certo limitato livello. Infatti, nel mito, Giove non distrugge Saturno, ma momentaneamente lo evira; donandogli cioè, in tal modo, una possibilità di recupero. In attesa di questa renovatio il padre scompare in uno stato di latenza.

In ambito cristiano, pertanto, è divenuta inevitabile l’identificazione di Saturno con Adamo e di Giove con Gesù Cristo, il Nuovo Adamo: l’Androgino primordiale[8].

In definitiva, lo stretto allineamento dei quattro pianeti posti proprio attorno al Sole, con tutta la simbologia da essi espressa, è interpretabile come essere una sorta di “didascalia” che esplicita e perfeziona l’allusione alla figura cristica del Sol Iustitiae: il Sole di Giustizia, appunto incarnato dall’Imperatore stesso.

A questo punto, come allora non vedere proprio in quel 27 febbraio del 1228 (astronomicante corrispondente al 6 marzo) il più opportuno dies natalis di Sancta Maria de Monte, giorno della posa della sua prima pietra? La fondamentale valenza simbologica del castello in quanto luogo conciliatore di opposti, allorché anche espressa macrocosmicamente a livello astronomico, ben si concorda infatti con la funzione di “mediazione” tra Cielo e Terra svolta microcosmicamente (accanto al Papa) dall’Imperatore: typus Christi, Sol Iustitiae.

E’ esattamente in quel giorno che tale concorrenza di simboli veniva espressa; e ciò in una maniera così evidente e grandiosa che non permarrebbe alcun dubbio sulla sua effettività.

Microcosmo, specchio del macrocosmo

Tuttavia, un dubbio legittimo potrebbe invece ancora insorgere. Esso pertiene all’interrogativo se tutto ciò trovi una plausibile coincidenza anche con gli avvenimenti che si stavano susseguendo, proprio durante i medesimi giorni interessati dal suddetto evento astronomico.

In altre parole: l’affidabilità della nostra asserzione, per mantenersi effettivamente credibile, non deve anche presentarsi in maniera tale da non dar luogo nemmeno ad una qualche incongruenza storica?

Ebbene, tramite un’accurata cronologia biografica della vita dell’Imperatore, la quale permette di risalire a pressoché tutti gli spostamenti da lui effettuati nel corso della sua vita[9], si può notare come proprio in concomitanza del suddetto periodo (fine febbraio 1228) egli fosse effettivamente a Foggia, ove si era stabilito già dalla fine del dicembre precedente.

Come si è già detto in precedenza, durante il mese di febbraio egli lì accolse l’emiro Fahr ad-Din e sempre lì si trattenne sino a quasi tutto il marzo successivo.

C’è pure da dire che, in caso di bisogno, la vicinanza tra Foggia e Andria avrebbe permesso a Federico II facili e rapidi spostamenti dall’uno all’altro luogo. Inoltre, poiché proprio in quei giorni Andria ospitava la consorte Jolanda – in attesa di partorire, di lì a poco, l’erede Corrado – è senz’altro da ritenersi logico che l’Imperatore le dovesse a volte recare visita.

Per più di un motivo, dunque, è molto verosimile che all’alba del 27 febbraio 1228 egli abbia potuto fare in modo di essere proprio presso Sancta Maria de Monte, per presenziare al rito inaugurale di edificazione, alla posa della prima pietra di quel manufatto che si sarebbe presentato come l’immagine visibile, più completa e perfetta, della sua sacralità imperiale.

Seppur già insignito del supremo titolo di Imperatore, tuttavia all’epoca mancava ancora a Federico II quello più significativo; ossia il titolo che, come dicevamo, avrebbe realmente perfezionato la sua sovranità sacrale: quello di Re di Gerusalemme, in quanto Santa Città del Cristo-Uomo, ma anche escatologica e celeste città dell’Apocalisse!

Risulta strano l’atteggiamento dello Svevo che trova al Papa diversi pretesti per ritardare la sua partenza per la Crociata, seppur già da tempo e più volte a lui promessa. E tanto ritarda, da guadagnarsi addirittura la sua scomunica!

Comunque sia, sarà finalmente a giugno del 1228 che egli salperà per la Terra Santa!

Alla luce di tutto quanto esposto, insomma, diviene giustificabile il presumere che egli abbia pianificato il ritardo nella partenza, per attendere prima il momento veramente propizio, così come sancito dagli astri all’alba di quel 27 febbraio (alias 6 marzo) 1228. Come sia pure altrettanto presumibile che il Pontefice, al corrente di ciò, non condividendo ovviamente l’imperiale presa di posizione (considerata forse ai limiti dell’eresia?), procedette con la scomunica; la quale appare un provvedimento senz’altro esagerato rispetto alle giustificazioni invece ufficialmente addotte da Federico II.

In realtà, una volta aver dato l’avvio all’edificazione di Sancta Maria de Monte con la posa della prima pietra di tale simbolica reggia, la quale meglio di qualunque altro castrum avrebbe donato l’appoggio opportuno alla valenza cosmica e divina della sua funzione, all’Imperatore ormai non rimaneva altro che approntare la partenza in breve tempo e, dopo appena tre mesi, salpare questa volta veramente per Gerusalemme.

E così, dopo averla ottenuta dal sultano al-Kamil senza colpo ferire, egli poté in tal modo suggellare, in maniera completa e definitiva, la sua Regale Potestà di Vicarius Christi.

Se gli astri paiono avergli “prospettato” positivamente questo traguardo, i fatti hanno indiscutibilmente sancito l’effettivo raggiungimento di esso. E ciò, dopo una serie di circostanze che, pur sembrando semplice frutto di fortuite coincidenze storiche, a noi sembra invece che abbiano piuttosto confermato la loro “ineluttabilità” metastorica.

Il presente scritto è stato pubblicato sul seguente blog:

www.ideeazione.com  (18.03.23)

 

NOTE

[1] R. RUSSO, Federico II. Cronaca della vita di un Imperatore e della sua discendenza, Editrice Rotas, Barletta 1994, p. 114.

[2] Cfr. in particolare:

  1. INTINI, S. Maria del Graal. Fondamenti simbolico-sacrali di Castel del Monte, Ed. Il Leone Verde, Torino 2002;
  2. INTINI, Il castello federiciano di Sancta Maria de Monte, tra escatologia ed arte sacra, in ATRIUM, rivista di Studi metafisici ed umanistici, Editore Associazione Culturale Adytum, nn. 3 e 4, anno XXIII, Lavarone (TN) 2021.

[3] Tali date coincidono con due festività mariane, coerentemente con l’intitolazione del castello alla S. Vergine Maria.

[4] Stando così le cose, l’incoronazione di Federico II avvenne allora nei giorni attorno al 25/26 marzo, allorché calcolati secondo l’attuale nostro calendario gregoriano. Ciò, pertanto, emblematicamente proprio a ridosso della festa dell’Annunciazione. Se ciò assume una significatività di valore, ma su cui non ci soffermeremo, nulla toglie comunque alle nostre osservazioni qui in oggetto.

[5] E’ il caso di notare che il 1228 era un anno bisestile.

[6] Per pianeta decano si intende quello relativo ad un gruppo di dieci giorni facenti parte di un segno zodiacale. L’astrologia divide cioè ciascun segno in tre gruppi di 10 gg., e riconosce su ciascuno di tali gruppi l’influenza di un pianeta.

[7]Il tuo alto disìo s’adempierà in su l’ultima spera…e nostra scala fino ad essa varca”, Par. XXII 61-68.

[8] Va peraltro anche ricordato che i pianeti Giove e Saturno hanno dato vita nel 7 a.C. a quella triplice congiunzione, detta aurea, avvenuta sempre nella costellazione dei Pesci e che, per la sua eccezionalità, è considerata essere in relazione con la nascita del Cristo stesso. E’ emblematico, a tal proposito, che il 6 marzo (ovvero il 27 febbraio, secondo il calendario giuliano) è esattamente il giorno centrale proprio del segno zodiacale dei Pesci.

[9] R. RUSSO, cit.