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L’ineluttabilità del Sacrum Imperium (di Cosmo Intini).

Jost de Negker, L’aquila quaternione, 1510

Finalmente!

Non può che renderci particolarmente soddisfatti l’apprendere che alcuni noti e stimati intellettuali comincino a parlare, apertamente e con la dovuta attenzione, della sussistenza di una correlazione dialettica tra Imperium e decadenza dell’Europa. E ciò nell’ottica di una auspicabile renovatio del primo, quale risolutivo rimedio per la necessaria salvatio politico-sociale della seconda.

E’ ormai da tempo, infatti, che il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis ha già fatto suo, quale fulcro del proprio “carisma” cavalleresco, il dovere di testimoniare l’esigenza, propria dell’Europa cristiana, di un ritorno all’Istituto Imperiale: in quanto unica forma di potestas temporale che mantenga, invero, una propria intrinseca legittimità[1].

Questa conclusione risulta “inevitabile” allorché si voglia intendere la politica in chiave metapolitica: così come, del resto, sarebbe d’uopo sempre vedere la storia in chiave metastorica e praticare la fede in chiave metafisico-sapienziale. E ciò per donare all’uomo una visione verticale e qualitativa della propria esistenza; il che gli permetterebbe una più intima adesione alla Verità e, quindi, una sua maggior libertà e santificazione (cfr. Gv 8,32). Da qui, poi, poter trarre un’adeguata proiezione sociale verso l’effettiva realizzazione escatologica di quella “giustizia” e quella “pace” che rappresentano l’eredità del Regno di Dio per noi riservata (cfr. Rm 14,17).

Affrontare la questione dell’Istituto Imperiale, nonché di una sua attuazione storica, non può insomma prescindere dalla consapevolezza che esso – unico tra le varie forme di governo temporale – presenta stretti rimandi alla sfera sacro-archetipale. Tali rimandi non possono essere certo ignorati, dacché lo giustificano e lo esigono “ontologicamente” e non in maniera meramente “ideologica”[2].

 

Gli articoli

Ma torniamo alle circostanze che ci hanno fornito lo spunto per queste riflessioni.

Ciò a cui ci stiamo riferendo è innanzitutto l’articolo di Marcello Veneziani: “Per salvarci dall’UE c’è solo il Sacro Romano Impero”, pubblicato qualche settimana fa sul quotidiano La Verità, oltre che sul sito dell’autore medesimo[3].

Peraltro, esso riprendeva e commentava la posizione analogamente assunta a sua volta dal filosofo Giorgio Agamben, in un proprio intervento di poco precedente e che era apparso sul sito Quodlibet con l’emblematico titolo: “L’Impero europeo[4].

Oltretutto, la trattazione di tale argomento non costituirebbe per Agamben nemmeno una novità. Nella circostanza, infatti, egli non aveva fatto altro che approfondire i contenuti sempre da lui già espressi nel 2013, in un ulteriore articolo pubblicato questa volta sul quotidiano La Repubblica: “Se un impero latino prendesse forma nel cuore d’Europa[5].

Tale testo era stato poi ripreso nel 2018, di nuovo su Quodlibet, ma col più sintetico titolo: “L’Impero latino[6].

Se ci è sembrato giusto e doveroso ricordare i tre suddetti scritti – plaudendo peraltro alla coraggiosa presa di posizione dei loro autori, in quanto personalità assolutamente scevre di schemi ideologici, di interessi o di preconcetti – ad ogni modo riteniamo opportuno operare alcune precisazioni nel merito.

 

 

Sfera dell’ordine e sfera dell’ordinario

Allorquando si voglia convintamente prendere in considerazione l’idea di una Renovatio Imperii, da quasi ogni parte insorge il classico e banale luogo comune secondo cui la principale difficoltà, a che ciò possa concretamente avvenire, risiede in un’incontestabile irrealizzabilità “storica” di un tale Istituto politico: ciò dovuto principalmente alla propria inattualità e, quindi, alla propria realistica inattuabilità.

Veneziani osserva ironicamente come oggi, per i più, l’Imperium si riduca solo “ad un tema mitologico, ad un film apocalittico”, quando non proprio ad un mero esercizio intellettualistico.

Agamben, da parte sua, dopo aver parimenti constatato la diffusa perplessità collettiva in merito al fatto che “una tale proposta possa essere attuale”, pur ribadendo la sua ferma convinzione teoretica riguardante la necessità del ripristino di un Impero europeo, tuttavia egli lo fa a prescindere se ciò “sia o meno possibile”.

 

Per quel che invece ci riguarda, possiamo dire che la grossolanità della generale opinione riguardante l’inattuabilità dell’Imperium risulta pari solo al suo nefasto ribaltamento della gerarchia dei valori ontologici. Essa infatti confonde palesemente i livelli che pertengono rispettivamente all’“ordine” e all’“ordinario”. Il che vuole dire scambiare l’”assoluto” con il “relativo”.

Percepire la Renovatio Imperii come un qualcosa di “stra-ordinario”, di eccezionale – e pertanto di difficile, se non di impossibile attuazione – significa in fin dei conti travisare il carattere metapolitico che appartiene all’Istituto Imperiale. Questo carattere, che ovviamente colloca l’Imperium altresì nell’ambito dell’“Ordine metastorico”, fa sì che l’appartenenza alla vera e propria “stra-ordinarietà” (lat. extra-ordinarius, “fuori dall’ordinato, dalla norma”) debba piuttosto attribuirsi all’“ordinaria” occasionalità del livello “storico” (e quindi, anche del livello semplicemente “politico”).

In effetti, è evidente come sia invece l’Ordine a costituire e stabilire la “norma” e quindi la “normalità”.  Valga il notare, a tal proposito, la significativa corrispondenza che soggiace ai significati sottesi al termine “ordine”, in quanto designante sia il principio che “dispone la regola”, sia il suo carattere di “comando”. Questo è proprio il dato sapienziale che riconosce nel Logos, divino e creatore, Colui che con la forza del proprio braccio “tutto ha disposto con misura, calcolo e peso” (Sap 11,20-21). Tutto ciò viene così a definire contestualmente ed inderogabilmente quanto è “secondo natura” (= secondo l’Ordine cosmico e divino) e quanto è invece “contro natura” (= contro l’Ordine cosmico e divino).  

La summenzionata confusione tra “ordine” ed “ordinario”, allora, è la medesima che sussiste tra “norma” e “consuetudine”: laddove quest’ultimo termine individua semplicemente qualcosa che deriva da un’“abitudine” ed il cui mero carattere di “acquisizione, susseguente ad un insistente reiteramento”, di carattere molto spesso arbitrariamente ideologico, dona a ciò che è “abituale ed ordinario” una parvenza di normalità e di assolutezza che invece non gli pertiene affatto[7].

Ben altra cosa sono insomma lo “straordinario” ed il “normale”; a cui, proprio alla luce di queste pur sintetiche osservazioni, bisogna riconoscere diverso significato e valore ontologico, rispetto a quello comunemente inteso.

Tutto ciò per ribadire, insomma, che ogni forma politica di governo che si discosti dalla concezione dell’Imperium risulta illegittima, in quanto priva di una definita collocazione ontologica nella “natura delle cose”. Soltanto l’Istituto Imperiale mantiene uno spessore che lo identifica come conforme all’“Ordine cosmico”, alla “norma eterna”; il che lo qualifica come rientrante nell’assolutezza della “normalità” e non permette di confonderlo con una qualsiasi ordinaria, contingente consuetudine: più o meno plausibile, più o meno opinabile, più o meno attuabile.

Anzi, è proprio da questa conformità con l’Ordine che deriva all’Imperium la legittimità di porsi quale “norma” nella sfera dell’ordinario, nonché di stabilirvi le opportune consuetudini politico-sociali.

 

Identità metapolitica dell’Imperium

Ma dove ritrova la propria ragion d’essere questa “caratura” di carattere metapolitico, metastorico e metafisico, che informa l’Imperium e che noi abbiamo comunque già dato, sin qui, per scontata?

Ponendoci da un punto di vista sia spirituale che politico-sociale, non possiamo non tener conto che, in quanto il Cristo Logos detiene sia la funzione Sacerdotale che Regale, ebbene, a sostegno della Sua Ecclesia cattolica devono “necessariamente” esserci due Suoi Vicari: il Papa e l’Imperatore, ognuno mantenendo la propria insostituibile peculiarità.

In effetti, la Regalitas deduce la propria legittimazione e necessità direttamente dalla sfera divina (cfr. Pr 8,15; Sap 6,1-3; Rm 13,1); mentre il Sacerdotium, da parte sua, è ciò che la riconosce ed avalla (ma non la elargisce).

In questa sede non ci soffermeremo in dettaglio sui dati, siano essi teologici o filosofici o giuridici, che delineano le dinamiche che devono regolare suddetta sinergia: chi, come noi, riconosce in Dante il culmine supremo nell’esposizione della dottrina imperiale, comprenderà bene a quale tradizione attingere.

Ci basta invece sottolineare il dato di fatto che l’Europa, in quanto ambito geografico-politico dalle origini di indiscutibile matrice cristiana, senza l’Istituto Imperiale non può mantenere alcun equilibrio sociale interno; e ciò per il semplice fatto che tradisce in tal modo quella che, ontologicamente parlando, costituisce la sua vera ed oggettiva “identità”.

Quando si ripristinerà la funzione Imperiale, insomma, ne conseguirà che l’Europa sarà salva; giacché, manifestandosi la pienezza del Cristo, essa recupererà contestualmente l’integrità della propria essenza originaria.

 

 

Inevitabilità ed ineluttabilità

L’attualizzazione della suddetta evidente Verità, come necessaria espressione di una “conformità” col principio archetipale incarnato da Cristo Re, a tutt’oggi risulta purtroppo negligentemente disattesa proprio da coloro, laici e clero, a cui toccherebbe invece coglierne il senso e curarne l’applicazione.

Eppure, alla luce di essa Verità, deve esser chiaro che la Renovatio Imperii è “inevitabile” quando si vogliano convintamente ripristinare le condizioni per la realizzazione di una Europa socialmente ordinata e armoniosa, politicamente forte e giusta, spiritualmente sana e pacificata.

 

Si obbietterà certamente, a questo punto, che tutto ciò non fa ancora i conti con i “nemici” di questa realizzazione: coloro che da tempo si oppongono alla Verità cristiana ed alla Ecclesia Christi. Sono quei poteri occulti – ma nemmeno tanto tali – che, asservitisi alle forze sottili infere, dopo aver fatto cadere la colonna Regale dell’Ecclesia, stanno oggi tentando di portare a compimento anche l’implosione dell’altra sua colonna: quella Sacerdotale[8]. E contestualmente a tali attacchi, l’anticristico sovvertimento si materializza nella parodistica inversione dell’Imperium in un imperialismo globalista.

Eppure, noi siamo certi che è possibile far sì che l’“inevitabilità” della Renovatio Imperii maturi, si accresca a tal punto da divenire addirittura qualcosa di più: ossia, un evento provvidenzialmente “ineluttabile”.

Qui subentra allora una questione più pertinente alla fede.

 

Una fede riqualificata dal Logos

L’uomo ha smarrito la forza di credere nella potenziale propria capacità di “spostare le montagne” (Mt 17,20) o di “sradicare gli alberi per trapiantarli nel mare” (Lc 17,6). E non si tratta di una fede da intendersi “quantitativamente”: è stato infatti detto dal Signore che basterebbe che essa sia almeno “grande quanto un granello di senapa” (ibidem). Evidentemente, si tratta allora di una fede da intendersi “qualitativamente”; ossia non come acquisibile per addizioni, ma come esprimibile per analogia: una fede che agisca cioè attraverso un atteggiamento di “conformità” del logos umano col Logos divino (omologhia)[9].

Per comprendere questo “salto di qualità” bisogna allora riferirsi al passo evangelico di Mt 17,21, immediatamente successivo a quello appena citato e che riguardava la possibilità di acquisire la capacità di “spostare le montagne”. Il Signore, infatti, ivi suggerisce la pratica di “preghiera e digiuno” come indispensabili per accrescere la propria fede, sì da renderla atta anche ad imprese sovrumane. Ma come intendere lo spirito di tutto ciò, al di là della semplice lettera?

Se la “preghiera” è l’atteggiamento di un orientamento consapevole verso la sfera del divino, tramite il proprio logos (pensiero e parola); il “digiuno”, da parte sua, esprime il dominio sul proprio “ego” e lo svuotamento da tutte le proprie passionalità. Quindi, leggendo in filigrana, con “preghiera e digiuno” si intende l’acquisizione dell’oggettività necessaria per trascendere le proprie limitazioni umane, rendendo il proprio logos totalmente aperto e disponibile all’insonne ed eterno intervento di Grazia a lui offerto dal Logos divino.

In definitiva: allorché ci si rivolga al Logos con logos purificato, reso cioè “digiuno” del pane materiale – si potrebbe anche dire: con il proprio “Cuore” vacuo come una “coppa” –  si riceverà da Lui il nutrimento vero, rappresentato dal “pane vivo”.

Nel gergo cavalleresco, tale è l’epilogo della Santa Cerca del Graal!

 

Per concludere, possiamo dunque affermare che allorquando si chieda a Cristo Re qualcosa con la dovuta e conforme adesione alla “norma” da Lui stabilita, sarà “ineluttabile” che quanto da noi chiesto ci sarà da Lui dato: solo bussando ci sarà aperto, solo cercando noi troveremo (cfr Mt 7,7; Lc 11,9).

Il miracolo di una Renovatio Imperii attende dunque una forte presa di posizione: una collaborazione “ontologica” (e non ideologica) da parte di tutti coloro che “credono” in essa con ordinata e giusta fede omologhica. In tal modo, anche ciò che sia apparso fino ad oggi impossibile, si presenterà manifestamente possibile con “naturalezza” ineluttabile: e ciò, proprio in virtù della sua “naturale ed intrinseca necessità”[10].

 

Il presente scritto è stato pubblicato sul seguente blog:

www.ideeazione.com  (07.03.23)

NOTE

[1] Cfr. AA. VV., “Cristo è Re: la Regalitas quale archetipo della Chiesa Cattolica”, Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (a cura di), Ed. Cantagalli, Siena 2021. In particolare, vd. Nota introduttiva, pp.11-26.

Cfr. pure www.reginaequitum.it.

[2] E’ del resto proprio per tale motivo che la Verità dell’Imperium può venir colta adottando per essa la prospettiva ontologica dell’heideggeriana ἀ-λήθεια.

[3] La Verità, 19 febbraio 2023

https://www.marcelloveneziani.com/articoli/per-salvarci-dallunione-europea-ce-solo-il-sacro-romano-impero/.

[4] https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-u2019impero-europeo (6 febbraio 2023).

[5] La Repubblica, 13 marzo 2013.

[6] https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-impero-latino (12 giugno 2018.)

[7] Osserviamo incidentalmente che, alla luce di ciò, si potrebbe allargare il discorso sulla legittimità del considerare l’omosessualità come un qualcosa di “normale”, quando invece essa appartiene ad uno status di “eccezionalità” rispetto alla “norma” ed all’“ordine”. Ma questi sono altri discorsi.

[8] Agamben, ripreso anche da Veneziani, ritiene che questo “nemico” sia personificato da un mostruoso connubio socio-economico-politico che si starebbe concretizzando tra capitalismo e comunismo.

Sull’argomento, per una sua migliore e più esauriente disamina, da parte nostra rimandiamo invece volentieri alla Quarta Teoria Politica del filosofo russo Aleksandr Dugin. In essa si teorizza, con una maggior plausibilità, l’attuale tirannica predominanza “imperialistica” del liberismo. Dopo aver sopraffatto le ideologie del secolo scorso – fascismo e comunismo – esso si starebbe imponendo in maniera “unipolare” e a livello globale; ciò, con conseguenze sempre più disastrose per l’umanità stessa, alla luce dei caratteri “transumani” che esso starebbe vieppiù assumendo.

[9] L’omologhia, termine tratto dal vocabolario di S. Paolo e che significa “confessione, testimonianza di fede”, è dunque una specificità ontologica che peraltro risolve definitivamente ogni questione riguardante una presunta irriducibilità tra “fede e ragione”.  

[10] Per proporre anche solo un semplice esempio di questa “miracolosità”, basti ricordare l’inopinata e subitanea caduta del muro di Berlino, avveratasi grazie all’intermediazione spirituale assunta dal Pontefice S. Giovanni Paolo II.