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S. Giuseppe da Leonessa (1556-1612). Sul digiuno.

S. IOSEPH A LEONISSA, San Giuseppe da Leonessa salvato dagli angeli (stampa) di Marchesi Giuseppe detto Sansone (1699-1771)

 

San Giuseppe da Leonessa: De ieiunio (Sul digiuno)

[Testo tratto da “Contemplazioni di San Giuseppe da Leonessa”, a cura di P. Orante Elio D’Agostino O. F. M.: pp. 284-289. Edizioni “Leonessa e il suo Santo”, Convento Cappuccini. Leonessa (Rieti) 2004.  La traduzione dall’originale in latino è del Prof. Mario Polia].

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Prologo (a cura della Redazione)

La pratica del digiuno costituisce un momento importante nella disciplina a cui ogni Cavaliere si sottopone nel proprio cammino di catarsi. Come da antica tradizione che è propria della Chiesa cattolica, ogni mercoledi e venerdi egli osserva il momento dell’astinenza per maggiormente temprarsi nella lotta contro il demonio, rafforzandosi in vista di tutti quei “combattimenti” con cui è chiamato a misurarsi durante la propria vita quotidiana.

Il seguente testo rappresenta pertanto un importante ausilio per tutti coloro che siano avviati lungo il cammino di Cavalleria, affinché meglio comprendano il profondo senso spirituale del “digiuno”, liberandosi da ogni falsa interpretazione di esso allorché se ne faccia soltanto un momento di mortificazione corporale fine a sé stessa o peggio una pratica orgogliosamente competitiva.

 

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Il nostro Santo divenne celebre per le sue penitenze e, in particolare, per la pratica ascetica del digiuno tanto da meritare il nomignolo di “ammazzacompagni”. In questo suo scritto, ci invita a riscoprire il significato del termine “digiuno” il quale, oltre all’astensione dal cibo, rivela un concetto più ampio di “astensione” esteso agli oggetti percepiti dai sensi. Non si digiuna solo con la bocca ‒ questo è l’insegnamento dei santi ‒ ma anche con gli occhi, gli orecchi e con gli altri organi in cui i sensi risiedono. E si digiuna anche, e soprattutto, con la mente. Una re-definizione del concetto di “digiuno” e “digiunare”, in un’epoca come la nostra in cui il digiuno serve unicamente a mantenere la salute e la linea, risulta quanto mai opportuna. Mai come oggi le parole degli antichi maestri di saggezza e dei santi risultano attuali: se il “digiuno” e il suo opposto, il “mangiare”, coinvolge ognuno dei sensi, mai come ai nostri giorni le tecniche della società dei consumi sono volte a sollecitare con scientifica efficacia ognuno dei sensi creando bisogni in gran parte fittizi. Bisogni che, una volta soddisfatti ‒ spesso a caro prezzo ‒ creano altri bisogni i quali, se restano insoddisfatti, generano frustrazione, e nelle menti più deboli angoscia.

Le mode, sapientemente orchestrate, creano modelli di comportamento che dettano il modo di vestire, mangiare, e persino il modo di pensare “politicamente corretto”. Leggeremo, in questa antologia, le parole di Fulgenzio: «corpus saturitas excitat: la sazietà esalta la componente corporea». E la soddisfazione smodata delle urgenze del corpo ottunde la mente, tarpa le ali dell’anima, rende egoisti e finisce per ingrassare una ristrettissima casta di plutocrati che, dopo averli alimentati ad arte, si nutre degli smodati appetiti delle masse. Una casta che, ormai, determina e regge i destini del mondo.

Riscoprire il senso del “digiuno”, inteso come spontaneo rifiuto di ogni eccesso, come senso del limite che fa onore alla creatura umana, coincide con la scoperta di una sana frugalità che giova al corpo, alla mente e all’anima. Offrendo le loro privazioni a Dio, i santi si comportavano come l’esperto alpinista che, per agevolare la salita, rende lo zaino il più leggero possibile rinunciando al superfluo. Per chi santo non è, o non lo è ancora, imitare la pratica seguita dai santi ‒ e in primis dal Figlio di Dio ‒ risulta oltremodo efficace per la salute dell’anima. Per chi non crede né in Dio né ai santi, ridurre la tirannia dei bisogni indotti dai signori dell’oro giova comunque alla salute del corpo e della mente e permette di riscoprire il senso autentico dell’essere “liberi”. Un primo passo che, in seguito, permetterà di apprezzare in tutta la loro portata le parole del Vate: «Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtude e canoscenza».

 

Il Santo raccoglie una serie di testimonianze tratte dalle Scritture, da autori ecclesiastici e da classici latini e greci. Si tratta, credo, di una piccola antologia di testi da usare, volta per volta, per le sue riflessioni e sermoni. La rassegna inizia con il commento di un sermone di S. Bernardo di Chiaravalle dedicato al digiuno quaresimale: In Quadragesima, Sermo III. De Jejunio Quadragesimæ.

«Il digiuno corporale consiste nell’astinenza dal cibo e dalle bevande, con l’intenzione di soddisfare [satisfacendi, riferito alle proprie mancanze nei confronti di Dio] o di evitare il peccato, oppure di guadagnare la vita eterna. Cosa può essere più efficace del digiuno, mediante la cui osservanza ci avviciniamo a Dio e resistendo al diavolo superiamo le lusinghe dei vizi? Il digiuno, infatti, fu sempre il cibo di cui la virtù si nutre! L’astinenza, in verità, genera pensieri puri, desideri ragionevoli (rationabiles voluntates) e piaceri più salutari (salubriora solatia). Attraverso le volontarie mortificazioni, le concupiscenze muoiono e la carne viene rinnovata dalle virtù dello Spirito. Inoltre, per mezzo del digiuno, non solo si guadagna la salvezza dell’anima: mediante il nostro digiuno suppliamo anche alla misericordia dei poveri»[1].

«Se a peccare è stata soltanto la gola, sia la bocca a digiunare e questo basterà. Se, però, a peccare sono state anche le altre membra, perché mai queste dovranno risultare esenti dal digiuno?  Digiunino, dunque, gli occhi (…) in modo che la vista la quale, prima, essendo libera vagava nella colpa, convenientemente umiliata dalla penitenza cui è stata costretta, si astenga dagli sguardi indiscreti e da ogni impudenza.

Si digiuni anche con gli orecchi astenendosi dalle troppe parole inutili, dalle dicerie (rumoribus) e da tutto ciò che appartiene all’ozio e in alcun modo riguarda la salute [dell’anima].

Si digiuni con la lingua astenendosi dalle calunnie e dalle mormorazioni, dalle parole inutili, dalle parole superflue e dalle parole scurrili e, quando la dura legge del silenzio lo impone, anche dalle parole che parrebbero necessarie.

Si digiuni con le mani, evitando di compiere gesti inutili e qualsiasi opera che non sia richiesta. Ma, molto di più, sia l’anima a digiunare dai vizi e persino dal proprio volere. Infatti, se non ci si astiene (sine jejunio) da queste cose, Dio rifiuta anche le altre, come è scritto: ‘Ecco, nel giorno del vostro digiuno voi continuate a badare ai vostri affari’ [Is 58, 3] (Bernardo, Sermo 38)».

 

«Il digiuno non è soltanto una virtù in sé perfetta, è il fondamento d’ogni altra virtù, è veicolo di santificazione, pudicizia e prudenza senza le quali nessuno potrà vedere Dio (Girolamo, Ad Demetriadem)».

 

«Il digiuno purifica la mente, eleva i sensi, sottomette la carne allo spirito, rende il cuore contrito e umiliato, dissipa le nebbie della concupiscenza, spegne il fuoco della libidine e, senza dubbio, accende la luce della castità (Agostino, De  Ieiunio)».

 

«Se vogliamo offrire a Dio digiuni che gli sono graditi (placita ieiunia), restiamo in una continua orazione, nel giudicare osserviamo la giustizia, siamo fedeli nell’amicizia, pazienti nelle ingiurie, moderati nel disprezzare gli altri, rifuggiamo dal turpiloquio, opponiamoci costantemente al male, siamo sobri nei convivi, semplici nella carità, cauti tra gli ingannatori, compassionevoli con chi soffre, saldi nei confronti degli ostinati, parchi nel sospettare, silenziosi tra quelli che nel parlare abbondano, umili tra gli umili (Agostino, De Spiritu et Anima)».

 

«Pratica ogni giorno il digiuno e, nel mangiare, evita la sazietà. Infatti, a nulla ti giova restare a stomaco vuoto per due o tre giorni, se poi ti comporti come prima (Girolamo)».

 

«Il digiuno non ama la magniloquenza, giudica superflue le ricchezze, disprezza la superbia, raccomanda l’umiltà, aiuta l’uomo a intendere ciò che egli è, fragile e infermo (Agostino, In Sermone De Jejunio)».

 

«Il digiuno grande e completo consiste nell’astenersi dal male e dai piaceri illeciti del mondo: è questo il digiuno perfetto (Agostino)».

 

«Non è forse questo il digiuno che ho scelto: sciogli i legami col male, spezza anche il più piccolo dei pesi che t’opprimono, libera gli oppressi, liberati da ogni peso. Spezza il tuo pane con chi ha fame. Accogli in casa tua bisognosi e senza tetto. Ricopri chi è nudo. Non distogliere lo sguardo da chi è fatto di carne come te? (Is 58, 6-7)».

 

«Lavarsi dopo aver toccato un cadavere per poi toccarlo di nuovo: a che giova una simile abluzione? Così accade per l’uomo che si astiene dai suoi peccati (qui ieiunat in peccatis suis) e poi li commette di nuovo: che guadagnerà umiliandosi? Chi esaudirà la sua preghiera? (Sir 34, 30-31)».

 

«Sappiate che il Signore esaudirà le vostre preghiere se, insieme e senza interruzione perdurerete nei digiuni e nelle preghiere dinanzi al Signore (Gdt 4, 12)».

 

«Buona è la preghiera unita al digiuno e fare elemosina è meglio che metter da parte tesori perché l’elemosina libera dalla morte, purifica dai peccati e fa trovare la vita eterna (Tb 12, 8-9)».

 

«Là, presso il fiume Ahanà ho prescritto di digiunare per far penitenza dinanzi al Signore Dio nostro e per chiedergli che apra la via per noi, per i nostri figli e per tutti i nostri averi (Esd 8, 12)».

 

«Abbiamo digiunato, abbiamo chiesto a Dio questa grazia ed egli ci è venuto felicemente in aiuto (Ibidem 8, 23)».

 

«Pratica digiuni puri, ininterrotti e moderati, cioè: abbi fame ogni giorno e ogni giorno pranza, dice l’apostolo (1Tm 5, 23). Smetti di bere solo acqua ma usa moderatamente il vino per sanare le tue malattie. Il digiuno, infatti, cura le ferite di chi cade in errore e lo rende santo dopo averlo curato (Girolamo)».

 

«Il digiuno dev’essere praticato con moderazione in modo che la sazietà non ecciti il vostro corpo e l’astinenza senza misura non lo renda debole (Fulgenzio)».

 

«Imponi al digiuno una misura pari alla tua capacità di sopportazione. I tuoi digiuni siano puri, semplici, casti, moderati e non dettati dalla superstizione. A che serve, infatti, rinunciare all’olio se nei cibi vai in cerca di malanni e molestie? Per chi digiuna, sapori e odori risultano piacevoli ma a chi è nell’abbondanza e non manca di nulla, odori e sapori non arrecano piacere (Aristotele De Sensu et Sensato, Sui sensi e gli oggetti dei sensi)».

 

«Una sola selva è sufficiente per molti elefanti, l’uomo trae i suoi alimenti dalla terra e dal mare (Seneca)».

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Nota agiografica (http://www.santiebeati.it/dettaglio/90380).

Eufranio Desideri nasce a Leonessa, nel Reatino, l’8 gennaio 1556. Rimane orfano da piccolo e a sedici entra nel convento dei cappuccini di Assisi; a diciassette anni pronuncia i voti e prende il nome di Giuseppe. Ordinato sacerdote nel 1580 si dedica alla predicazione. Ma il suo sogno è la missione, sogno che si avvera quando, a trentuno anni, viene mandato a Costantinopoli dove i vescovi cattolici sono stati allontanati e i fedeli rimasti sono emarginati: a costoro i cappuccini danno assistenza. Ma Giuseppe si spinge oltre, cerca di parlare al sultano Murad III, prova a penetrare nel suo palazzo ma viene arrestato. Dopo essere stato legato ad una trave sotto la quale arde un fuoco per tre giorni, viene espulso dal Paese. Torna in Italia e riprende a fare il predicatore. In ogni paese che attraversa lascia un segno indelebile: a tal punto che nascono molte confraternite intitolate al suo nome. Muore ad Amatrice il 4 febbraio 1612 a seguito di una dolorosa malattia. È stato proclamato santo da Benedetto XIV nel 1746.

 

NOTA

[1] Qui il testo ha «misericordiis», “alle misericordie” riferite, forse, ai poveri che solevano offrire ai frati beni in natura. In questo senso, la frugalità dei frati viene incontro alle povere offerte di cibo presentate loro dai devoti. Il P. Orante suggerisce la possibilità di leggere «miseris», in tal caso il Santo intenderebbe dire che i meriti acquisiti mediante il digiuno servono a supplire agli eccessi dei “miseri”, ossia dei peccatori.