Globo crucigero del Sacro Romano Impero, Tesoreria imperiale del Palazzo Hofburg, Vienna
Ultima fatica dello scrittore e teologo Attilio Mordini (1923-1966), l’opera +INRI+, Il Mistero del Regno fu a lungo ritenuta perduta dopo la prematura ed improvvisa morte di questi. Tuttavia, per “provvidenziale” intervento, non solo nel corso degli anni essa è stata sottratta al completo smarrimento, ma di recente se ne è pure realizzata la postuma e tanto attesa, nonché quasi ormai insperata, pubblicazione: meritevolmente curata da Maria Camici e Alberto Castaldini per i tipi delle Edizioni Cantagalli (Siena, aprile 2021).
Né poteva accadere diversamente – se si voglia leggere il tutto alla luce di un inopinato disegno divino – trattandosi di un lavoro dal carattere profondamente ispirato, mistico-profetico, come è nella migliore produzione di Mordini.
Che il libro non obbedisca, per sua natura e nei riferimenti dei propri contenuti, a contestualizzazioni riconducibili al semplice fortuito caso quanto piuttosto a stringenti dinamiche meta-umane di carattere escatologico, già lo constatiamo anche solo nella contingenza. Infatti, la sua lunga e tormentata redazione dattiloscritta venne ultimata dall’autore, dopo tredici anni, proprio in corrispondenza del settecentenario della nascita dell’amatissimo Dante (1965); mentre la stampa vede a sua volta oggi la luce nel settecentenario della morte del Vate stesso (2021). E ricordiamo come per Mordini-cavaliere-ghibellino (tale egli si considerava) Dante rimanga emblematicamente non solo il massimo dei poeti, ma anche l’ispiratore dottrinale, politico-teologico più determinante ed imprescindibile; colui il cui pensiero meglio integrerà il suo cammino d’ascesi già saldamente fondato su preghiera, studio delle Scritture e opportune letture.
Una delle principali ricchezze della produzione mordiniana risiede proprio nell’adesione consapevole alla certezza dell’intima relazione tra storia e metastoria; adesione talmente pura e totale da guadagnargli evidentemente l’accesso a quel livello ontologico sovrapersonale entro il quale tutto ciò che il logos umano, ossia il suo intellectus, pensi o dica, quantunque espresso nella temporalità, si viene a disporre in maniera sintonica – in assetto omologico, potremmo dire – con quel metatemporale Ordine cosmico stabilito dal-e-nel Logos cristico.
Dimensione sapienziale, questa, che nulla ha a che spartire con quella discorsività analitica e razionale con cui l’uomo moderno mortifica intellettualisticamente il proprio pensare.
+INRI+ è questo, ma ovviamente anche molto altro.
Intanto va immediatamente registrato lo spessore del contributo che Mordini offre, avvalendosi di sorprendenti intuizioni e di originali evocazioni metaforiche, così come di audaci percorsi interpretativi anagogici e di sottili letture simboliche, nell’indicare l’Impero di Roma ed il suo sacro Jus quale fattore unico e indispensabile che ha reso possibile ed ha attualizzato quel che egli definisce l’“innesto delle nazioni nel solco della Crocefissione” in vista della Redenzione universale.
Consapevoli della fondamentale pregnanza dell’affermazione che riconosce nell’Impero di Roma – in quanto Imperium naturaliter christianum – l’elemento catalizzatore il quale, attraverso la crocefissione del Cristo, doveva essere in grado di portare ad attuazione la cattolicità cristiana, qui basta sottolineare, con il Nostro, quale ben differente esito avrebbe invece comportato un eventuale riconoscimento da parte del Sinedrio ebraico della reale messianicità del Cristo, accogliendoLo come sovrano, risparmiando a Lui la Croce e riuscendo così di lì a poco, inevitabilmente, a sottomettere politicamente la pagana religione dell’Urbe alla rivelazione ebraica.
Una volta asceso Cristo al Trono di David nella veste di Re semplicemente politico, regnando sul mondo alla stregua di un normale monarca, la nazione di Israele avrebbe infatti senza ombra di dubbio sottomesso l’ecumene con la forza delle armi, e l’umanità si sarebbe redenta nella “quantità” delle proprie anime.
Ma il trionfo finale del Messia era rinviato, dovendo esso prima configurarsi in terra in modo pienamente spirituale: non quale Regno di Israele, ma quale Impero del Messia medesimo. In effetti, differentemente e pertanto in maniera questa volta “qualitativa” – quindi, più autentica – per giungere a ciò occorreva che il Vangelo potesse prima irradiarsi universalmente con un carattere non impositivo, bensì tramite un innesto “istituzionalizzato” di tutte le diversità nell’unicità di quell’Unico Sovrano (Ut unum sint)[1] di cui l’Imperatore è in terra, accanto al Papa, il Vicario. A questo servì la Croce ed entro il fine di ciò operò Roma.
Spiega allora Mordini come, concordemente con tale obiettivo, «attraverso la Via Crucis dell’innesto per il diritto (Jus, n.d.r.) di Roma, non soltanto si salvano gli individui come tali o come collettività (che all’individualità è meramente correlativa), si salvano bensì le stesse istituzioni tradizionali, sia romane, sia di ogni altra nazione che a Roma e per Roma si innesta al tronco della Redenzione senza per questo perdere o offuscare le proprie prerogative, ma, anzi profilandole fino alla perfezione, sempre più differenziandosi e facendosi alle altre complementare»[2].
Detto con altre parole, Roma, per propria natura, non impone una fede, non è “Impero in sé confessionale”; essa è semmai detentrice di quello Jus perenne «che del particolare diritto d’ogni popolo e d’ogni nazione costituisce il germe comune. L’Impero di Roma è cattolico perché universale»[3]. Ed è per tale ragione che «volgere le spalle all’ideale principio dell’Impero romano significa volgere addirittura le spalle al Sacrificio del Calvario; significa volgere le spalle a quella Crocefissione, per cui Gesù ha voluto veramente regnare, qui, sulla terra, prima ancora che in Paradiso; qui sulla terra, per l’uomo, in tutte le istituzioni civili ordinate alla gerarchia universale dell’Urbe»[4].
Peraltro, condividendone i presupposti, Roma non poteva esimersi dal partecipare anche agli aspetti sacrificali del Mistero redentivo dell’universale Regno cristico. Il richiamo al titulus patibolare INRI, che compare nel titolo del libro stesso, vuole insomma parimenti qui alludere alla sussistenza di uno stretto parallelismo tra la Passione di Cristo, divenuto Imperatore del mondo attraverso la Croce, ed il crollo dell’Imperium, la cui funzione veniva appunto universalmente esercitata dall’Impero Romano. Esso, per ripercorrere in analogia il percorso cristico, doveva metastoricamente pur vivere una propria “crocefissione” (rappresentata dalle migrazioni barbariche dell’alto Medioevo) prima della propria resurrezione a vita veramente eterna con la realizzazione escatologica definitiva del Sacrum Imperium, la quale si concretizzerà al compimento del Millennio, ossia alla Parousìa del Cristo.
Proprio all’inizio, in premessa, Mordini si pone – e ci pone – l’interrogativo chiave che non solo esemplifica il senso di tutta l’opera, ma, trattandosi di testo escatologico, focalizza altresì il senso dell’essere umano, inteso nella sua integralità e alla luce della sua appartenenza al Mistero di Cristo: «Come deve affermarsi il Regno di Dio sul nostro mondo civile?»[5].
E prosegue, specificando: «Ancora oggi si ripropone attualissimo il problema della distinzione, sia pure in modo diverso che non al tramonto del Medioevo, tra potere civile e autorità spirituale; e si ripropone al tempo stesso, come è inevitabile, la ricerca di un punto vivo su cui l’uno e l’altra possano incontrarsi; affinché l’uomo, cittadino e al tempo stesso coscienza assetata di verità, possa restare integro, non soltanto per sopravvivere, ma addirittura per vivere di vita eterna»[6].
Ci permettiamo qui di osservare come il carattere di profeticità del pensiero mordiniano venga evinto non solo per il suo individuare temi problematici che a tutt’oggi, a circa sessant’anni di distanza, paiono ancor più attuali e stringenti che mai; ma altresì per il tono virilmente invettivo e disincantato con cui si scaglia contro quegli attuali detentori dell’autorità e del potere i quali, piuttosto che trovare una soluzione positiva alle suddette problematiche, ne appaiono, invece, i più diretti responsabili o indiretti corresponsabili.
Ecco dunque che Mordini invita tutti a «prepararci subito a riconoscere, smascherare e combattere strenuamente qualsiasi messianismo materialista che, per il pervertimento degli pseudo-apostoli del nostro tempo e, purtroppo, anche per il tradimento di alcuni elementi del clero, vorrebbe sostituirsi a quell’Impero che noi cristiani non siamo ancora riusciti, dopo quasi venti secoli, a instaurare sulla terra in Suo Nome per l’impulso santo della Sua Chiesa»[7].
Più oltre è ancora meno tenero, quando afferma che «sarà lo stesso Messia, germe in cui ogni promessa, s’invera, a riordinare quell’Impero che già fu di Roma e che per la stupidità del guelfismo prima, e per la perfidia rivoluzionaria del giacobinismo e del socialismo poi, sarà definitivamente distrutto dallo pseudo-trionfo dell’anticristo con conseguente rovina della Chiesa di Pietro. Non si può concepire la Chiesa cattolica senza prima vedere il supporto provvidenziale e concreto dell’Impero romano e altrettanto cattolico, cioè universale»[8].
L’instaurazione dell’Imperium Christi passa dunque dalla Renovatio Imperii, ossia dalla consapevole e completa applicazione in ambito sociale e politico della Regalitas cristica; la quale Regalità, così denuncia Mordini, è purtroppo diventata un’idea quasi astratta; mentre, al contrario, «urge riscoprire il profilo del Redentore nelle gesta dell’uomo; […] urge domandarsi se e in che modo il Regno di Dio, ogni giorno auspicato nella nostra preghiera al Padre in cielo, abbia da concretarsi qui su questa terra, per poi continuare, in cielo, per l’eternità; […] è qui, subito, sulla terra che quel Regno ha da farsi concreta espressione della nostra dignità di uomini creati e redenti da Dio»[9].
E’ ben noto quanto la prefigurazione della “regalità sacerdotale” di Gesù debba farsi risalire al biblico Melchisedek, misterioso “Re di Salem e sacerdote del Dio altissimo” (Gen 14,18-20). Le due funzioni regale e sacerdotale, unificate nel Cristo, nel mondo sono invece distinte nei due Vicari: l’Imperatore e il Papa.
La loro complementarietà viene opportunamente sintetizzata da Mordini nella differenziazione che si pone tra le loro autorità: «Si tratta di autorità del recte agere e dello scire recte. La prima è rappresentata dall’Imperatore quale Vicario del Cristo a guidare l’umanità in ogni sua azione, la seconda è rappresentata dall’altro Vicario, il Papa, a condurre il genere umano, attraverso gli errori del mondo, alla verità di Dio di cui lo stesso pontefice è il depositario»[10].
Mordini ci dà pure una spiegazione metastorica al sussistere di tale divisione storica, posta in atto tra le due funzioni con una ideologica contrapposizione, frutto anche di equivoci e mal comprensioni, che invero ancor oggi appare non esser stata affatto risolta.
Egli scrive: «Secondo Martin Buber[11], Iddio non volle che la stessa generazione uscita d’Egitto entrasse in Terra di Canaan, perché al momento in cui gli esploratori inviati da Mosè presso Gerico tornarono agli accampamenti, gli Ebrei avevano esitato a prendere possesso della Terra promessa. Giustissimo; ma a noi sembra anche di scorgere, proprio in questa punizione dell’Altissimo, anche e soprattutto un ammonimento per il futuro. E’ infatti in seguito a tale esitazione, che Iddio mostra al suo popolo come per le future omissioni, per le future esitazioni che avessero ancora impedito alla verità rivelata del Sacerdozio di Levi di tradursi immediatamente in azione feconda e in gloriosa guerra santa, i due poteri sarebbero stati per sempre divisi tra loro, e cioè si sarebbero divisi l’una dall’altro il potere sacerdotale dall’autorità regale ed equestre [sic]»[12].
Per tornare alle funzioni di Cristo Signore in quanto Rex et Sacerdos secondo l’Ordine di Melchisedek[13], da parte nostra ci sembra opportuno ribadire che tale nome significa “Re di Giustizia”. Questo personaggio è altresì definito come “Re di Salem”, ovvero “di Pace”, mostrando con ciò la propria piena e completa prerogativa regale prima ancora che sacerdotale.
Il sommo Sacerdozio che Gesù esercita è differente da quello della “sacerdotale” tribù di Levi, essendo Egli, oltretutto, effettivamente virgulto della “regale” tribù di Giuda[14]. In altre parole, il Sacerdotium cristiano raggiunge la propria perfezione, anche e soprattutto, per il fatto che Melchisedek-Cristo è propriamente Re[15].
Tutto ciò per dire che in Cristo Gesù, a livello principiale, il Sacerdotium in quanto dignità propria di Colui che offre il sacrificium, coincide ontologicamente con la Regalitas, che è nella fattispecie la dignità di Colui che sta offrendo Sé stesso in oblazione sacrificale. La perfezione di tale “sacerdotale” sacrificium è ottenuta e garantita, dunque, per la santità e per l’innocenza senza macchia di Colui che lo è andato ad offrire: Cristo in quanto Rex. E ciò non può non mantenere la sua fondamentale incidenza.
Va ancora osservato che se da una parte, in Eb 9,27-28[16], si sottolinea quanto l’efficacia del sacrificium del Signore comporti che il Suo ritorno, la Parousia, coincida col Giudizio Finale, dall’altra, in Ap 19,11-16, ci viene confermato che tale Sua seconda venuta avverrà nell’aspetto e funzione di «Re dei Re […] giudicando e combattendo con giustizia». La Regalitas di Cristo, Signore e Giudice, rimane pertanto intimamente pregna di una valenza escatologica che la rende una funzione la quale non ha ancora, per così dire, esaurito definitivamente il proprio esercizio; e ciò differentemente dal Suo Sacerdotium, il quale risulta invece già espletato una volta per sempre in virtù del carattere eterno del Suo sacrificium[17]; tant’è che nella Celeste Gerusalemme, come è scritto, non vi sarà più bisogno di “alcun Tempio”[18].
Mordini, da parte sua, effettivamente specifica a tal proposito che se nella Gerusalemme Celeste non vi saranno più sacerdoti, non essendovi più il sacrificio, tuttavia «i Re della terra sì, perché la luce sarà sempre ordine e gerarchia[19]. E i Re della terra non verranno tolti alle loro nazioni; ma ciascuno di essi, con tutta la gente sua, sarà addirittura assunto (e non più innestato) all’Impero del Cristo ormai tutto trasfigurato in Chiesa eterna dell’Agnello»[20].
E’ bene tuttavia precisare, incidentalmente e sempre con Mordini, che tutti i Re sono veri nella misura in cui sostituiscono il Cristo, e per Lui regnano in attesa della Redenzione. Ma nella misura in cui tendono alla propria cupidigia, rappresentano in verità la Bestia apocalittica. Il che significa che non devono andar confuse la monarchia con la tirannide, così come invece il modernismo ed il repubblicanesimo usano fare in maniera superficiale e niente affatto disinteressata[21].
Una estesa parte centrale di +INRI+ è dedicata da Mordini ad un’indagine del profetismo veterotestamentario ed al suo adempimento nel Cristo incarnato, crocefisso, sepolto, risorto e asceso al Cielo. Secondo tale particolareggiata disamina, due sono gli esiti a cui pervengono le nazioni che non hanno riconosciuto suddetto adempimento: l’uno è quello del popolo ebraico, contro la propria stessa tradizione profetica; l’altro è quello delle nazioni moderne, laiciste e sconsacrate, materialiste ed atee, le quali hanno misconosciuto la propria comune storia derivante da Roma.
La storia cristiana, invece, in quanto “storia dell’adempimento”, è divenuta “storia dello Spirito Santo, del fermento dei tempi”. Dunque, da parte sua, l’umanità cristiana deve orientarsi «verso il porsi di quelle condizioni concrete che saranno occasione e possibilità alla manifestazione palese della Redenzione già adempiutasi nel Mistero. Dunque, essa deve ordinarsi all’Impero universale in vera e autentica gerarchia civile, per la semente della stessa gerarchia sacerdotale di Pietro, per la semente, cioè, dell’Apostolato. La Chiesa dei battezzati in Cristo Gesù è il Corpo mistico dello stesso Cristo; e l’Impero civile è la veste inconsutile, il tessuto naturale di cui quello stesso corpo ha da vestirsi. La gerarchia sacerdotale, dal Papa, per i vescovi, fino all’ultimo parroco, è somiglianza della gerarchia celeste di luce; è somiglianza delle gerarchie angeliche sul mondo; e l’Impero civile ne è immagine; è quell’immagine concreta senza di cui la somiglianza, priva di un supporto su cui profilarsi, resterebbe pura astrazione»[22].
L’immagine della “veste inconsutile” rimane strettamente legata con gli esiti escatologici del Millennio. Mordini sottolinea, infatti, quanto l’avvento anticristico rimarrà impossibile sin tanto che «la gerarchia sacerdotale e la gerarchia civile saranno ben ancorate al cielo; sin quando, cioè, l’ordinarsi dell’Impero romano e cattolico sarà veste della Chiesa; sarà veste del Corpo mistico del Cristo; e, come già la sua veste, ‘senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo dall’alto in basso’ (Gv 19,23). Il che significa che la gerarchia si stende dal cielo alla terra, come già la scala di Giacobbe ed in senso del tutto contrario alla torre di Babele che avrebbe voluto levarsi dalla terra al cielo come le moderne rivoluzioni sociali. […] Satana non potrà mai riuscire nel suo tentativo di scalata al trono dell’Altissimo, così non potrà riuscire mai a sopraffare l’uomo sin quando la sua (scilicet dell’uomo) gerarchia sarà tessuta d’un sol pezzo da cima a fondo, dall’alto in basso, dal cielo alla terra»[23].
Dunque, ecco spiegato perché il primo scopo di satana sia quello di insidiare la gerarchia dell’Impero Romano, tendendo attraverso uno “pseudo-profetismo progressista” ad uno pseudo-Impero internazionale su tutta la terra (che peraltro tanto assomiglia al cosiddetto odierno progetto per un nuovo ordine mondiale). Tuttavia, tale progetto, profeticamente individuato e posto all’indice da Mordini già sessant’anni or sono, «non potrà mai essere veramente universale, non essendo il Cristo misura della sua unità. […] Dunque, approfittando dell’espandersi dell’Impero del Cristo, satana si fa anticristo, non tanto a unire, quanto a pianificare e a uniformare tutte le più disparate formazioni demoniache e rivoluzionarie. […] Questa l’affermazione del profetismo dell’anticristo, a cui si può giungere soltanto attraverso una negazione metodica, continua, costante e progressiva della tradizione del Sacro romano Impero. E la Chiesa? Senza l’Impero, che della Chiesa è attuazione sul piano civile, senza l’Impero, attuazione concreta di quel Regno di Dio che essa stessa reca già in sé quale dynamis spirituale e soprannaturale della Grazia, essa resta priva di concretezza, resta astrazione. […] La Bestia dell’Apocalisse non è dunque anticristo in quanto antipapa, bensì in quanto anti-imperatore; poiché sarà appunto come Imperatore che il Cristo ha da tornare nel mondo; mentre sarà eminentemente quale Pontefice che trionferà, sotto le specie dell’Agnello, nella Gerusalemme celeste»[24].
In merito a ciò, ci sembra opportuno aprire nuovamente una nostra piccola digressione.
Il riconoscimento dell’Imperium come figura del Katechon, così come condiviso ed affermato anche da Mordini, prende intanto le mosse dal passo di S. Paolo in 2Ts 2,3-7, notoriamente caposaldo di tutte le argomentazioni escatologiche: «Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia (ἀποστασία) e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione (τῆς ἀπωλείας), colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce (τὸ κατέχον) la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità (τῆς ἀνομίας) è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo (ἐκ μέσου) chi finora lo trattiene (ὁ κατέχων)».
Nel corso del tempo, innumerevoli e varie sono state le proposte esegetiche volte ad interpretare tale enigmatico passo, nonché a comprendere, in special modo, a chi e a che cosa debba venir riferito quel termine Katechon. Tuttavia, tra di esse, spesso ci si dimentica che la spiegazione tradizionalmente più accolta da tutti i Padri, Latini e Greci, è stata certamente quella secondo cui τὸ κατέχον indica una forza, un potere: l’“Impero Romano”; la qual cosa si concretizza allo stesso tempo in una persona: ὁ κατέχων, l’“Imperatore”.
Mentre S. Leone Magno[25] e S. Tommaso[26] proclamavano la “sacralità” di Roma, da parte loro Tertulliano[27], Giovanni Crisostomo[28], Giovanni Damasceno[29], Lattanzio[30], S. Cirillo Gerosolomitano[31], S. Girolamo[32], S. Ambrogio[33], S. Agostino[34], S. Beda il Venerabile[35] (e molti altri) tutti concordavano nell’indicare l’Impero Romano come “ciò che impedisce, trattiene, frena, contiene, regge” il manifestarsi dell’anticristo. Ebbene, alla luce di ciò, rimane allora indubitabile come sia il Sacrum Romanum Imperium a dover essere riconosciuto quale Katechon nella sua più peculiare identità ontologica, avendo esso raccolto, appunto, la sostanziale eredità dell’antico Imperium latino, dopo averlo cristianizzato.
Oltre a ciò, il fatto che tale funzione risulti di effettiva quanto esclusiva pertinenza della Potestas Regale lo attesta chiaramente la natura di ciò a cui detta funzione si oppone: intendiamo quel “mistero di iniquità” a cui si allude nel passo succitato della Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Il testo greco rende infatti il significato di “iniquità” con ανομια, come abbiamo già visto; ma pure con αδικια, come compare in un successivo versetto del medesimo capitolo[36]. Orbene, se il primo termine (anomia) traduce letteralmente “senza legge”, il secondo (adikia) significa “senza giustizia, senza equità”.
L’iniquitas di cui in questione, la “mancanza di equità”, si costituisce pertanto come l’esatta inversione dell’Imperium, la cui peculiare prerogativa è appunto quella di emanare la Lex ed amministrare l’equità della Iustitia. La funzione Regale, in analogia con la sapienziale funzione ordinatrice del Creatore, è insomma quanto concorre al mantenimento dell’ordinata ed equilibrata (equa) disposizione del Mondo. Il venir meno al proprio ruolo di “medianità equale” tra il temporale e lo spirituale dell’uomo (laddove il Sacerdotium media tra la parte spirituale dell’uomo e Dio), il suo esser “tolto dal mezzo”, l’esser “allontanato” (apostasìa) dalla propria posizione “mediatrice” quale re-medium contro l’infirmitas peccati[37], tutto questo è ciò che causa la venuta del “figlio della perdizione”: l’anticristo. Questi è “figlio” proprio in quanto conseguenza dell’“abolizione” dell’Impero (infatti, il termine che traduce ‘perdizione’, ἀπωλεία, deriva dal verbo ἀπόλλῦμι, che non a caso è a sua volta in relazione con il lat. aboleo, “abolire”); esso è quindi l’esito della distruzione e della perdita dell’ordinamento: il che è a sua volta causa di rovina, in quanto caduta al di fuori da quel rectum stabilito dal Celeste Rex (lett.: “colui il cui compito è regere”) e che deve poi essere amministrato dal Rex terreno.
In definitiva, l’apostasìa (dal verbo gr. ἀφίστημι, “allontanare, disgiungere, rimuovere, far sparire”) che si dice debba di necessità precedere la venuta dell’anticristo, significa per l’appunto l’“allontanamento”, la sparizione dell’Imperium dalla sua funzione di Katechon.
Un’ulteriore, capitale intuizione mordiniana risiede nella riflessione avanzata a proposito della cedevolezza sempre di più mostrata dall’autorità ecclesiastica a riguardo del contesto politico di cui può far parte la civitas christiana. Difatti, essa autorità oramai riduce l’opzione repubblicana come altrettanto possibile rispetto alla monarchica, quando a volte non addirittura preferibile a questa[38].
Questa posizione ecclesiastica rimane motivata dalla preferenza che essa autorità pone limitatamente all’aspetto morale “individuale”, alla salvezza della “singola” anima; per la qual cosa, purché venga garantita al cittadino cristiano la libertà di professare la Fede cristiana – oltre a non venir impedito il libero propagarsi di essa Fede – non comporta insomma differenza il preferire la monarchia o la repubblica.
Osserva tuttavia Mordini: «se prendiamo ad occuparci seriamente della salvezza del genere umano, affinché sia come tale, in tutta la sua compagine, più vicino a Dio, allora non potremmo allontanarci dalla dottrina di Dante, che, nel De Monarchia afferma come: ‘…genus humanum maxime Deo assimilatur quando maxime est unum’ (I, VIII, 3)[39]. Ecco porsi dunque non soltanto la necessità della Monarchia come potere nelle mani di una sola e medesima persona, bensì della Monarchia come potere unico, come potere, cioè, universale: è il porsi della Monarchia del Sacro romano Impero; istituzione insostituibile affinché il potere, anziché imporsi a opprimere un’indefinita quantità di cittadini, e perciò di individui umani, si distribuisca, come la luce e come il fuoco, a ordinare nazioni, popoli, città, famiglie e soprattutto persone, alla gerarchia cattolica, alla gerarchia universale; e ciò affinché gli uomini siano tutti uno in Cristo, così come il Cristo, il Figlio, è uno col Padre»[40].
Ed aggiunge ancora: «Credere che il Cristianesimo possa riaffermarsi sul mondo anche attraverso uno pseudo-ordinamento civile sorto dalle moderne rivoluzioni; credere che ogni regime cosiddetto civile sia battezzabile di pieno diritto solo purché consenta liberamente alle espressioni del culto; giuocare insomma sull’equivoco e credere o lasciar credere che ogni regime tollerato dalla tradizione cristiana debba perciostesso dirsi senz’altro cristiano esso medesimo, significa tendere fatalmente alla vanificazione della Santa Messa sul mondo. Grazie a Dio, vanificare gli effetti del santo Sacrificio è di fatto impossibile! Ma non per questo possiamo dirci autorizzati a farne la riprova. E quei sacerdoti che incoraggiano il mondo a proseguire per la disastrosa china verso forme sempre più sconsacrate di vita, mentre perseverano nei loro riti, sono eredi diretti di quei farisei che gridavano al Cristo di scendere giù dalla Croce a dar prova di esser Figlio di Dio; sono altresì discepoli di quell’Avversario che, tentando Gesù nel deserto, gli chiese di gettarsi giù dal pinnacolo del Tempio per dimostrare d’essere Figlio dell’Altissimo. E perciò possono andare d’accordo con quell’ideologia demoniaca sempre solerte a tentare il Cristianesimo affinché le pietre si facciano pani»[41].
In definitiva, «è altrettanto vero che l’unica forma di ordinamento civile, di per se stessa naturaliter christiana, è quella della gerarchia dall’alto, non soltanto per il rispetto, ma addirittura per la difesa dell’autentica libertà dell’uomo, che non consiste nel fare ciò che ciascuno desidera, bensì nell’essere ciò che ciascuno è chiamato ad essere»[42].
Giunti al termine di questa rapida sintesi del saggio che noi riteniamo costituire il vero testamento spirituale di Attilio Mordini, rimaniamo consapevoli della inevitabile incompletezza con cui si sono dovuti affrontare i suoi diversi contenuti. Se ci siamo tuttavia resi disponibili a farci carico di tale lacunosità, ciò è stato per non venir meno al doveroso atto di omaggio che comunque ci sentivamo di offrire a tale autore ed alla sua opera appena edita, condividendone in maniera piena tanto le tematiche affrontate quanto i procedimenti di indagine adottati.
Ad ogni modo, rimane possibile trarre una conclusione di fondo soprattutto in merito alla piena attualità delle riflessioni mordiniane, giacché queste vertono su principi eterni, su archetipi che nessuna mistificazione antitradizionale potrà oscurare, o peggio sopprimere del tutto, innanzi alla coscienza del popolo di Dio.
Attilio Mordini è e rimarrà uno di quegli autori “ispirati” che testimoniano il vero, perché della Verità si sono fatti disinteressati araldi; ed attraverso di lui ed il suo esempio, sia intellettuale che di vita sofferta, a noi, che beneficiamo di tale testimonianza, rimane il preciso dovere di accoglierne l’invito ad agire: non tanto per cercare – vanamente – di impedire che il corso escatologico sancito da Dio non giunga al proprio inevitabile compimento, quanto piuttosto per evitare che il sopraggiungere di tale compimento ci colga impreparati ad accoglierlo.
Cosmo Intini
Il presente scritto è stato pubblicato sul seguente blog:
www.ideeazione.com (02.01.22)
[1] Cfr. Gv 17,20-23.
[2] ATTILIO MORDINI, +INRI+ Il Mistero del Regno, Ed. Cantagalli, Siena 2021, p. 101.
[3] Ivi, p.123.
[4] Ivi, p.105.
[5] Ivi, p.31.
[6] Ivi, p. 32.
[7] Ivi, p. 33.
[8] Ivi, p. 149.
[9] Ivi, p.32 sg.
[10] Ivi, p.84.
[11] Filosofo e giudaista (1878-1965).
[12] +INRI+, cit., p. 113.
Probabilmente, qui vi è una svista di Mordini, il quale inverte la corretta posizione dei sostantivi “autorità e potere” rispetto ai propri aggettivi. Essi, infatti, vanno riferiti rispettivamente: al sacerdozio, il primo, ed alla regalità, il secondo; come del resto egli stesso puntualmente e giustamente compie in altri punti.
[13] Cfr. Sal CIX,4; Eb 7,1-3; Gen 14,18-20.
[14] Cfr. Eb 7,11-28.
[15] Non è privo della sua significatività che il Signore Gesù, al momento della propria epiphaneia, riceva l’omaggio di quei Magi che la Tradizione, non a caso, ricorda come Re.
[16] «E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola e dopo la morte venga il Giudizio, così pure Cristo si è immolato una volta sola per togliere i peccati di molti, e comparirà una seconda volta, senza peccato, per quelli che l’aspettano, per dar loro la salvezza».
[17] Cfr. Eb 9,24-28; 10,11-14.
[18] Cfr. Ap 21,22.
[19] Cfr. Ibidem.
[20] +INRI+, cit., p.220.
[21] Cfr. ivi, p. 287.
[22] Ivi, p. 304.
[23] Ivi, pp. 229 sg.
[24] Ivi, pp. 318 sg.
[25] S. LEONE MAGNO, Sermo I in natali Apostolorum.
[26] S. TOMMASO, In 2.am ad Thessalonicenses, c. II, lect. 1.
[27] TERTULLIANO, Apologeticum, XXXII, 1.
[28] S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Homilia IV in II ad Thessalonicenses, coll. 485-486.
[29] S. GIOVANNI DAMASCENO, La seconda ai Tessalonicesi, col. 923.
[30] LATTANZIO, Divinae institutiones, XXV, coll. 812-813.
[31] S. CIRILLO GEROSOLOMITANO, Katechesis XV, 12.
[32] S.GIROLAMO, Ad Algasia, 11.
[33] S. AMBROGIO, In Epistolam Beati Pauli ad Thessalonicenses secundam.
[34] S. AGOSTINO, De Civitate Dei, XX, 19, 3.
[35] S. BEDA IL VENERABILE, Expositio ad Thessalonicenses II.
[36] E’ significativo che, nel versetto qui menzionato, l’“iniquità” intesa come “mancanza di giustizia” venga posta in relazione con la mancanza di “verità”: «e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità» (2Ts 2,12).
[37] E’ sintomatica l’ambivalenza del termine remedium, in cui compare sia il riferimento al verbo medeor, “medicare, sanare”, che all’aggettivo medium, che indica “ciò che sta in mezzo, al centro”.
[38] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999, nn. 1901-1904.
[39] “Il genere umano massimamente si assomiglia a Dio, quando massimamente è uno”.
[40] +INRI+, cit., p. 350.
[41] Ivi, pp. 386 sg.
[42] Ivi, pp. 382 sg.