Locandina del documentario “Lepanto: ora come allora” di Andrés Garrigó, Goya Prod. (Spagna, 2021)
Nonostante ci fossimo già occupati, con un nostro scritto, della Battaglia di Lepanto qualche tempo fa, in occasione della ricorrenza del suo 450° anniversario[1], ci sentiamo in dovere di ritornare sull’argomento, dopo aver assistito alla visione di un reportage televisivo, firmato da Alessandro Barbero[2], relativo all’argomento in questione. Il medievista piemontese, infatti, da buon accademico dei giorni nostri, abbraccia la tesi di tutti quegli storici ed intellettuali che, da Voltaire in poi, minimizzano, o ambiscono a ridimensionare l’importanza per la cristianità tutta, della vittoria riportata a Lepanto dalla Lega Santa, fortemente voluta da San Pio V.
In sostanza, Barbero, tra l’altro eccellente divulgatore, afferma che per gli storici, la Battaglia di Lepanto non ha avuto alcuna conseguenza politica e militare, glissando sia sulla sua importanza per il mondo cristiano, che sminuendo le possibili conseguenze politiche di una ipotetica vittoria ottomana.
«In realtà bisognerebbe domandarsi, per capire la portata dell’avvenimento, cosa sarebbe successo se la vittoria non ci fosse stata o, peggio, se ci fosse stata una sconfitta. Non solo tutte le posizioni veneziane nei mari Egeo, Ionio e Adriatico sarebbero cadute, ma la stessa intera Italia, forse anche la Spagna, sarebbero state alla mercé dei turchi. Allora comprenderemo la gioia dei popoli cristiani, l’entusiasmo dei veneziani all’arrivo della notizia, i festeggiamenti fatti un po’ dappertutto»[3].
Inoltre, torniamo volentieri alla citazione, peraltro già riportata nel nostro precedente intervento, di Fernand Braudel, relativa a questo epocale scontro e alle sue conseguenze per i popoli del Bacino del Mediterraneo e non solo. Questi, infatti, sostiene che «[Se] anziché badare soltanto a ciò che seguì a Lepanto, si pensasse alla situazione precedente, la vittoria apparirebbe come la fine di una miseria, la fine di un reale complesso d’inferiorità della Cristianità, la fine d’una altrettanto reale supremazia della flotta turca (…) Prima di far dell’ironia su Lepanto, seguendo le orme di Voltaire, è forse ragionevole considerare il significato immediato della vittoria. Esso fu enorme»[4].
Sulla stessa linea, lo storico militare britannico John Keegan, il quale «elenca Lepanto tra le quindici battaglie navali decisive della storia, da Salamina tra greci e persiani nel 480 a. C., al Golfo di Leyte tra americani e giapponesi nel 1944; ove per decisiva s’intende d’importanza duratura e non puramente locale. Lepanto segna la fine del potere navale ottomano ed arresta l’avanzata musulmana nel Mediterraneo occidentale, che da allora fu salvo dalla minaccia strategica dell’espansione turca (anche se non dalle incursioni dei pirati barbareschi, contro i quali combatteva la flotta dell’Ordine di Malta), così come l’assedio di Vienna del 1683 bloccò l’avanzata terrestre dell’Impero ottomano»[5].
Inoltre, «l’insigne storico Angelo Tamborra afferma che con Lepanto, anche se non ebbe immediate conseguenze strategiche, prende fine … stabilmente, quello stato d’animo di rassegnazione e quasi di paura ossessiva che aveva prostrato l’Occidente, preso dal mito della invincibilità del Turco ed afferma che con tale battaglia si ebbe il definitivo declino della talassocrazia turca del Mediterraneo». Ancora, Milo Boz scrive che «la Cristianità, già frammentata in nazioni in lotta di predominio le une contro le altre – taluna delle quali non aveva esitato a ricercare il compromesso o addirittura l’alleanza con il Turco [vedi il regno di Francia, ndr] – aveva visto ricomporsi, per un momento e almeno in parte, la sua unità contro il nemico comune»[6].
Pertanto, ciò che Alessandro Barbero e gli intellettuali modernisti e post relativisti ignorano, o sembrerebbero ignorare, è proprio il tema centrale della questione, rappresentato, a nostro modo di vedere, dal confronto stesso tra Islam e Cristianesimo, insistendo con il voler negare, a tutti i costi, il carattere bellicoso del primo, in nome di non si sa che cosa; carattere bellicoso riportato, invece, seppur indirettamente, da Benedetto XVI nel suo mirabile discorso di Ratisbona, nel quale lo stesso Santo Padre ci restituisce le parole dell’Imperatore bizantino Manuele II Paleologo[7].
Come sottolinea, infatti, sempre Boz, «Maometto è in realtà l’unico fondatore di una religione che fu anche un capo guerriero; fin dall’inizio l’Islam si espanse con la violenza e la “guerra santa” è uno dei precetti fondamentali della dottrina e della prassi musulmana[8]. Tutte caratteristiche assenti nel Cristianesimo, che, si diffuse grazie ai martiri, che versarono docilmente il proprio non l’altrui sangue, come fanno invece oggi i seguaci fanatici di Allah, che si uccidono per portare la morte. Il Cristianesimo non è però affatto una religione che sposa il pacifismo, come oggi si vorrebbe sostenere. Nei Vangeli non solo non compare alcuna condanna del servizio militare, ma anzi in diversi episodi traspare un’evidente simpatia per i centurioni dell’esercito romano, come ha ricordato più volte il Beato Giovanni Paolo II, anche nel 2000 in occasione del giubileo dei militari»[9]. Inoltre, proprio un centurione romano, sarà il primo dei Gentili a comprendere la natura divina del Cristo[10].
Certo, dal momento che l’argomento in questione potrebbe prestarsi a gratuiti entusiasmi di bellicosa natura ed a facili fraintendimenti, è bene mantenere sempre la barra dritta e ricordare quanto sostiene San Bernardo di Chiaravalle nell’Elogio della Nuova Cavalleria (la cui lettura è caldamente consigliata), dove il venerabile Abate «non fa l’elogio della guerra né consiglia l’imposizione della fede con le armi ma giustifica l’esistenza della guerra in difesa di chi, senza la protezione dei milites, sarebbe esposto all’arbitrio del nemico: il popolo dei fedeli»[11]. E’ dunque d’uopo delineare, con l’aiuto dello stesso S. Bernardo, un netto distinguo tra saecularis militia (malitia) e sancta militia, dove la prima, sprovvista della giusta disposizione di cuore, del retto agire, è giudicata come l’anticamera della perdizione, laddove la seconda rappresenta, al contrario, la salvezza eterna[12]. Tutto ciò senza nemmeno scomodare le Sacre Scritture che ci parlano della Parousia, la venuta del Cristo alla Fine dei Tempi, descritta nell’Apocalisse di Giovanni.
Lo stesso Franco Cardini, sedicente tradizionalista cattolico, in un suo articolo per «Avvenire», «definiva Lepanto una vittoria sostanzialmente inutile, una storia agrodolce con qualche risvolto comico, e fustigava qualche bollore crociato che è riaffiorato oggi in campo cattolico come ridicolo … più che inopportuno, [pagando così dazio al pensiero unico dominante, ndr]»[13]. Concordiamo pienamente, dunque, con Boz quando suggerisce allo «storico fiorentino, forse tradito dal suo filo-islamismo»[14], di andare a rileggere il giudizio autorevole di Braudel[15], storico stimato e indubitabilmente d’avanguardia, già direttore, per più di vent’anni, di quella rivista, «Les Annales», fondata da Marc Bloch e Lucien Febvre, alla quale tutti gli accademici, ma soprattutto gli intellettuali post-modernisti e relativisti debbono molto.
Dunque, seppur in ulteriori contesti ideologici e contro i suoi detrattori, la battaglia di Lepanto continua sempre: ora come allora.
ANTONIO ARCURI
[1] https://www.reginaequitum.it/2021/02/03/quattrocentocinquantesimo-della-battaglia-di-lepanto-7-ottobre-1571/
[2] RAI STORIA (a cura di A. Barbero) La bussola e la clessidra: Lepanto, 14/12/21.
[3] M. Tangheroni, La Battaglia di Lepanto, in https://alleanzacattolica.org/la-battaglia-di-lepanto/.
[4] Cit in M. de Leonardis, Il significato storico della Battaglia di Lepanto: Cristianità. Occidente e Islam, http://blog.messainlatino.it/2011/10/7-ottobre-2011-nel-cdxl-anniversario.html.
[5] M. Boz, Significato storico e valore della Battaglia di Lepanto, in https://dalvenetoalmondoblog.blogspot.com/2017/12/significato-storico-e-valore-della.html.
[6] Ibidem.
[7] https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2006/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20060912_university-.regensburg.html#_ftn1
[8] «Ad esser precisi la Guerra santa, tanto per i Cristiani, così come per i Mussulmani, era al tempo stesso guerra per l’innesto all’Omphalos di Gerusalemme, così come guerra di assoggettamento di tutti i popoli della terra a quell’Omphalos conquistato, come a quel centro cosmico senza l’osservanza e la misura del quale non si sarebbe potuto mai instaurare un ordine duraturo nel mondo degli uomini sottomesso al regno dei cieli. Guerra santa e innesto di sottomissione sono due aspetti insuperabili di una stessa realtà. […] È tuttavia evidente, d’altra parte, che la Guerra santa cristiana, così come si afferma per le Crociate, è prima di tutto e soprattutto acquisto dell’antico Omphalos di Gerusalemme, per conferire autenticità trascendente al nuovo Omphalos civile di Roma; mentre la guerra santa dei Musulmani, come dice appunto lo stesso nome di Islam, è essenzialmente guerra di sottomissione del mondo intero al Corano». A. Mordini, +INRI+. Il Mistero del Regno, Siena, Cantagalli, 2021, pp. 120-121.
[9] M. Boz., cit.
[10] «E il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare gridando a quel modo esclamò: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”», Mc 15,39. «Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quanto accadeva, furono presi da grande spavento e dicevano: “Davvero Costui era figlio di Dio!”», Mt 27,54.
[11] M. Polia, A Mo’ di Prologo, in San Bernardo, L’Elogio della Nuova Cavalleria – Ai Cavalieri del Tempio, pp. 5-14, p. 8, Rimini, Il Cerchio, 1988.
[12] Ibidem.
[13] M. Boz, cit.
[14] Ibidem.
[15] Cfr. supra, nota 3.