PRIMA LETTERA. A SUO NIPOTE ROBERTO CHE ERA PASSATO DALL’ORDINE CISTERCENSE AL CLUNIACENSE
Sorgi, o Cavaliere di Cristo, sorgi, sollevati dalla polvere, torna alla battaglia da cui sei fuggito, disposto a combattere ancora più strenuamente dopo esser fuggito, sicuro di trionfare con maggior gloria. Cristo vanta molti cavalieri che cominciarono, durarono e vinsero sempre con la medesima intrepidezza, ma pochi che, desistendo dalla fuga, si siano di nuovo esposti al pericolo cui s’erano sottratti, abbiano posto di nuovo in fuga i nemici dinanzi a cui erano fuggiti. E poiché ogni esempio raro è prezioso, godo che tu possa appartenere a quelli che, quanto più son rari, tanto più appariranno gloriosi. E se poi è vero che sei molto timido, perché da un lato temi quando non ci sarebbe da temere, mentre non temi lì dove ci sarebbe da temere molto di più? O perché sei fuggito dalla mischia credi di essere sfuggito dalle mani dei nemici? Ma l’avversario mette più slancio nell’inseguirti di quanto non farebbe a schermare se ti battessi con lui e t’incalza più audacemente alle spalle di quanto non farebbe se dovesse armeggiare faccia a faccia. Ora, senza preoccupazioni, dopo aver gettato via le armi, ti godi il sonno del mattino, proprio dell’ora in cui Cristo risorgerà; e ignori che, disarmato come sarai, tu da un lato avrai più paura e dall’altro farai meno paura ai nemici? Una torma di armati ha già circondato la casa, e tu dormi? Già scavalcano l’argine, già distruggono la siepe, già irrompono dalla porta di servizio. C’è maggiore sicurezza per te che ti trovino solo anziché con altri, che ti trovino nudo a letto anziché armato in campo? Svegliati, prendi le armi, scappa presso i tuoi commilitoni, che scappando avevi abbandonati, sì che per la paura che ti aveva separato da loro, ti ricongiunga daccapo a loro. Perché, cavaliere sfilacciato, rifuggi dal peso e dall’asprezza delle armi? Il nemico incalzante e le saette sibilanti tutt’intorno non ti faranno più sentire il peso dello scudo, la gravezza della corazza o dell’elmo. E così a chi si sposta improvvisamente dall’ombra al sole, dall’ozio alla fatica, tutto ciò che incomincia a fare appare faticoso, ma dopo che ha incominciato a disabituarsi dall’inerzia d’un tempo e ad assuefarsi a poco a poco alla sopraggiunta operosità, la pratica eliminerà ogni riluttanza, ed egli troverà facile quello che prima riteneva impossibile. Anche i cavalieri più coraggiosi, nel momento in cui si fa sentire la tromba di guerra, son soliti avvertire una certa trepidazione prima dello scontro; ma quando si sono cacciati nella mischia, la speranza della vittoria e il timore di rimanere vinti li rendono intrepidi. E tu come puoi trepidare, se ti proteggerà da ogni parte l’unanime disposizione dei fratelli armati, se ti saranno a fianco gli angeli ad assisterti, se dinanzi a te, guida nella battaglia, marcerà Cristo, animando i suoi alla vittoria e, dicendo: «Confidate: io ho vinto il mondo»? (Gv 16.33); «Se Cristo è con noi, chi sarà contro di noi»? (Rm 8,31). Puoi combattere sicuro, se sei sicuro della vittoria. O battaglia veramente sicura quella che si combatte per Cristo e con Cristo! In essa anche se ferito, anche se atterrato, anche se calpestato, anche se ucciso mille volte (posto che ciò possa accadere), non sarai mai defraudato della vittoria, a patto che non fugga. La sola causa che ti potrebbe far perdere la vittoria è la fuga. Fuggendo la potresti perdere, morendo mai; e beato te se morirai combattendo, perché appena morto, sarai coronato. Guai a te quindi se, sottraendoti alla pugna, ti esponi a perdere insieme la vittoria e la corona.
EPISTOLA PRIMA. AD ROBERTUM NEPOTEM SUUM, QUI DE ORDINE CISTERCIENSI TRANSIERAT AD CLUNIACENSEM.
Surge, miles Christi, surge, excutere de pulvere, revertere ad praelium unde fugisti, fortius post fugam praeliaturus, gloriosius triumphaturus. Habet quidem Christus multos milites qui fortissime coeperunt, steterunt, vicerunt: paucos autem qui de fuga conversi, rursus se periculo ingesserint quod declinaverant; rursus fugarint hostes quos fugiebant. Et quia omne rarum pretiosum; gaudeo te de illis posse esse, qui quanto rariores, tanto apparebunt gloriosiores. Alias autem si multum timidus es, cur vel times ubi non est timor, non autem times ubi magis est timendum? An quia fugisti ex acie, putas te manus hostium evasisse? Libentius te insequitur adversarius fugientem, quam sustineat repugnantem; et audacius insistit a tergo, quam resistat in faciem. Securus nunc projectis armis capis matutinos somnos, cum illa hora Christus resurrexerit: et ignoras quod exarmatus, et tu timidior, et hostibus minus timendus sis? Armatorum multitudo circumvallaverunt domum, et tu dormis? Jam ascendunt aggerem, jam dissipant sepem, jam irruunt per posticum. Tutiusne est ergo tibi ut te inveniant solum, quam cum aliis; nudum in lectulo, quam armatum in campo? Expergiscere, sume arma, et fuge ad commilitones tuos, quos fugiens deserueras; ut qui te ab eis disjunxerat, ipse te denuo timor jungat. Quid armorum refugis pondus et asperitatem, delicate miles? Adversarius instans et circumvolantia spicula facient clypeum non esse oneri, loricam non sentiri vel galeam. Et quidem subito procedenti de umbra ad solem, de otio ad laborem, grave cernitur omne quod incipit; sed postquam ab his dissuescere, et ad illa se paulisper assuescere coeperit, usus tollit difficultatem, invenitque facile esse quod impossibile ante putavit. Solent etiam fortissimi milites audita buccina ante congressum trepidare; at ubi ad praelium ventum fuerit, spes victoriae, et timor ne vincantur, reddit intrepidos. Quid vero tu trepidas, quem fratrum unanimitas armatorum circummuniet, cui Angeli assistent a latere, quem dux belli Christus praeibit, suos animans ad victoriam, et dicens: Confidite, ego vici mundum? (Joan. XVI, 33.) Si Christus pro nobis, quis contra nos? (Rom. VIII, 31.) Securus potes pugnare, ubi securus es de victoria. O vere tuta cum Christo, et pro Christo pugna! in qua nec vulneratus, nec prostratus, nec conculcatus, nec millies (si fieri possit) occisus, fraudaberis a victoria, tantum ne fugias. Sola causa, qua perdere possis victoriam, fuga est. Fugiendo potes illam amittere, moriendo non potes: et beatus si pugnando moriaris, quia mortuus, mox coronaberis. Vae autem tibi, si declinando pugnam, perdis et victoriam simul et coronam!
(Lett. 1, P.L. 182, col. 68)